rotante col suo figlio ond’ella e` vaga,
veggendo Roma e l’ardua sua opra,
stupefaciensi, quando Laterano
a le cose mortali ando` di sopra;
io, che al divino da l’umano,
a l’etterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano
di che stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e ‘l gaudio mi facea libito non udire e starmi muto.
E quasi peregrin che si ricrea
nel tempio del suo voto riguardando, e spera gia` ridir com’ello stea,
su per la viva luce passeggiando,
menava io li occhi per li gradi,
mo su`, mo giu` e mo recirculando.
Vedea visi a carita` suadi,
d’altrui lume fregiati e di suo riso, e atti ornati di tutte onestadi.
La forma general di paradiso
gia` tutta mio sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato fiso;
e volgeami con voglia riaccesa
per domandar la mia donna di cose
di che la mente mia era sospesa.
Uno intendea, e altro mi rispuose:
credea veder Beatrice e vidi un sene vestito con le genti gloriose.
Diffuso era per li occhi e per le gene di benigna letizia, in atto pio
quale a tenero padre si convene.
E <<ov’e` ella?=””>>, subito diss’io.
Ond’elli: < mosse Beatrice me del loco mio;</ov’e`>
e se riguardi su` nel terzo giro
dal sommo grado, tu la rivedrai
nel trono che suoi merti le sortiro>>.
Sanza risponder, li occhi su` levai,
e vidi lei che si facea corona
reflettendo da se’ li etterni rai.
Da quella region che piu` su` tona
occhio mortale alcun tanto non dista, qualunque in mare piu` giu` s’abbandona,
quanto li` da Beatrice la mia vista;
ma nulla mi facea, che’ sua effige non discendea a me per mezzo mista.
< e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige,
di tante cose quant’i’ ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate riconosco la grazia e la virtute.
Tu m’hai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt’i modi che di cio` fare avei la potestate.
La tua magnificenza in me custodi,
si` che l’anima mia, che fatt’hai sana, piacente a te dal corpo si disnodi>>.
Cosi` orai; e quella, si` lontana
come parea, sorrise e riguardommi; poi si torno` a l’etterna fontana.
E ‘l santo sene: <<accio` che=”” tu=”” assommi<br=””> perfettamente>>, disse, < a che priego e amor santo mandommi,</accio`>
vola con li occhi per questo giardino; che’ veder lui t’acconcera` lo sguardo
piu` al montar per lo raggio divino.
E la regina del cielo, ond’io ardo
tutto d’amor, ne fara` ogne grazia, pero` ch’i’ sono il suo fedel Bernardo>>.
Qual e` colui che forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
che per l’antica fame non sen sazia,
ma dice nel pensier, fin che si mostra: ‘Segnor mio Iesu` Cristo, Dio verace,
or fu si` fatta la sembianza vostra?’;
tal era io mirando la vivace
carita` di colui che ‘n questo mondo, contemplando, gusto` di quella pace.
<>, comincio` elli, < tenendo li occhi pur qua giu` al fondo;
ma guarda i cerchi infino al piu` remoto, tanto che veggi seder la regina
cui questo regno e` suddito e devoto>>.
Io levai li occhi; e come da mattina
la parte oriental de l’orizzonte
soverchia quella dove ‘l sol declina,
cosi`, quasi di valle andando a monte con li occhi, vidi parte ne lo stremo
vincer di lume tutta l’altra fronte.
E come quivi ove s’aspetta il temo
che mal guido` Fetonte, piu` s’infiamma, e quinci e quindi il lume si fa scemo,
cosi` quella pacifica oriafiamma
nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte per igual modo allentava la fiamma;
e a quel mezzo, con le penne sparte,
vid’io piu` di mille angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e d’arte.
Vidi a lor giochi quivi e a lor canti ridere una bellezza, che letizia
era ne li occhi a tutti li altri santi;
e s’io avessi in dir tanta divizia
quanta ad imaginar, non ardirei
lo minimo tentar di sua delizia.
Bernardo, come vide li occhi miei
nel caldo suo caler fissi e attenti, li suoi con tanto affetto volse a lei,
che ‘ miei di rimirar fe’ piu` ardenti.
Paradiso: Canto XXXII
Affetto al suo piacer, quel contemplante libero officio di dottore assunse,
e comincio` queste parole sante:
< quella ch’e` tanto bella da’ suoi piedi e` colei che l’aperse e che la punse.
Ne l’ordine che fanno i terzi sedi,
siede Rachel di sotto da costei
con Beatrice, si` come tu vedi.
Sarra e Rebecca, Iudit e colei
che fu bisava al cantor che per doglia del fallo disse ‘Miserere mei’,
puoi tu veder cosi` di soglia in soglia giu` digradar, com’io ch’a proprio nome vo per la rosa giu` di foglia in foglia.
E dal settimo grado in giu`, si` come infino ad esso, succedono Ebree,
dirimendo del fior tutte le chiome;
perche’, secondo lo sguardo che fee
la fede in Cristo, queste sono il muro a che si parton le sacre scalee.
Da questa parte onde ‘l fiore e` maturo di tutte le sue foglie, sono assisi
quei che credettero in Cristo venturo;
da l’altra parte onde sono intercisi
di voti i semicirculi, si stanno
quei ch’a Cristo venuto ebber li visi.
E come quinci il glorioso scanno
de la donna del cielo e li altri scanni di sotto lui cotanta cerna fanno,
cosi` di contra quel del gran Giovanni, che sempre santo ‘l diserto e ‘l martiro sofferse, e poi l’inferno da due anni;
e sotto lui cosi` cerner sortiro
Francesco, Benedetto e Augustino
e altri fin qua giu` di giro in giro.
Or mira l’alto proveder divino:
che’ l’uno e l’altro aspetto de la fede igualmente empiera` questo giardino.
E sappi che dal grado in giu` che fiede a mezzo il tratto le due discrezioni,
per nullo proprio merito si siede,
ma per l’altrui, con certe condizioni: che’ tutti questi son spiriti ascolti
prima ch’avesser vere elezioni.
Ben te ne puoi accorger per li volti
e anche per le voci puerili,
se tu li guardi bene e se li ascolti.
Or dubbi tu e dubitando sili;
ma io disciogliero` ‘l forte legame in che ti stringon li pensier sottili.
Dentro a l’ampiezza di questo reame
casual punto non puote aver sito,
se non come tristizia o sete o fame:
che’ per etterna legge e` stabilito
quantunque vedi, si` che giustamente ci si risponde da l’anello al dito;
e pero` questa festinata gente
a vera vita non e` sine causa
intra se’ qui piu` e meno eccellente.
Lo rege per cui questo regno pausa
in tanto amore e in tanto diletto, che nulla volonta` e` di piu` ausa,
le menti tutte nel suo lieto aspetto
creando, a suo piacer di grazia dota diversamente; e qui basti l’effetto.
E cio` espresso e chiaro vi si nota
ne la Scrittura santa in quei gemelli che ne la madre ebber l’ira commota.
Pero`, secondo il color d’i capelli,
di cotal grazia l’altissimo lume
degnamente convien che s’incappelli.
Dunque, sanza merce’ di lor costume,
locati son per gradi differenti,
sol differendo nel primiero acume.
Bastavasi ne’ secoli recenti
con l’innocenza, per aver salute,
solamente la fede d’i parenti;
poi che le prime etadi fuor compiute, convenne ai maschi a l’innocenti penne
per circuncidere acquistar virtute;
ma poi che ‘l tempo de la grazia venne, sanza battesmo perfetto di Cristo
tale innocenza la` giu` si ritenne.
Riguarda omai ne la faccia che a Cristo piu` si somiglia, che’ la sua chiarezza sola ti puo` disporre a veder Cristo>>.
Io vidi sopra lei tanta allegrezza
piover, portata ne le menti sante
create a trasvolar per quella altezza,
che quantunque io avea visto davante, di tanta ammirazion non mi sospese,
ne’ mi mostro` di Dio tanto sembiante;
e quello amor che primo li` discese,
cantando ‘Ave, Maria, gratia plena’, dinanzi a lei le sue ali distese.
Rispuose a la divina cantilena
da tutte parti la beata corte,
si` ch’ogne vista sen fe’ piu` serena.
< l’esser qua giu`, lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per etterna sorte,
qual e` quell’angel che con tanto gioco guarda ne li occhi la nostra regina,
innamorato si` che par di foco?>>.
Cosi` ricorsi ancora a la dottrina
di colui ch’abbelliva di Maria,
come del sole stella mattutina.
Ed elli a me: < quant’esser puote in angelo e in alma, tutta e` in lui; e si` volem che sia,
perch’elli e` quelli che porto` la palma giuso a Maria, quando ‘l Figliuol di Dio carcar si volse de la nostra salma.
Ma vieni omai con li occhi si` com’io andro` parlando, e nota i gran patrici
di questo imperio giustissimo e pio.
Quei due che seggon la` su` piu` felici per esser propinquissimi ad Augusta,
son d’esta rosa quasi due radici:
colui che da sinistra le s’aggiusta
e` il padre per lo cui ardito gusto l’umana specie tanto amaro gusta;
dal destro vedi quel padre vetusto
di Santa Chiesa a cui Cristo le clavi raccomando` di questo fior venusto.
E quei che vide tutti i tempi gravi,
pria che morisse, de la bella sposa che s’acquisto` con la lancia e coi clavi,
siede lungh’esso, e lungo l’altro posa quel duca sotto cui visse di manna
la gente ingrata, mobile e retrosa.
Di contr’a Pietro vedi sedere Anna,
tanto contenta di mirar sua figlia, che non move occhio per cantare osanna;
e contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna,
quando chinavi, a rovinar, le ciglia.
Ma perche’ ‘l tempo fugge che t’assonna, qui farem punto, come buon sartore
che com’elli ha del panno fa la gonna;
e drizzeremo li occhi al primo amore, si` che, guardando verso lui, penetri
quant’e` possibil per lo suo fulgore.
Veramente, ne forse tu t’arretri
movendo l’ali tue, credendo oltrarti, orando grazia conven che s’impetri
grazia da quella che puote aiutarti;
e tu mi seguirai con l’affezione,
si` che dal dicer mio lo cor non parti>>.
E comincio` questa santa orazione:
Paradiso: Canto XXXIII
< umile e alta piu` che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti si`, che ‘l suo fattore non disdegno` di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace cosi` e` germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra ‘ mortali, se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz’ali.
La tua benignita` non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura e` di bontate.
Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,
supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi
piu` alto verso l’ultima salute.
E io, che mai per mio veder non arsi
piu` ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
perche’ tu ogne nube li disleghi
di sua mortalita` co’ prieghi tuoi, si` che ‘l sommo piacer li si dispieghi.
Ancor ti priego, regina, che puoi
cio` che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!>>.
Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l’orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati;
indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s’invii per creatura l’occhio tanto chiaro.
E io ch’al fine di tutt’i disii
appropinquava, si` com’io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii.
Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’io guardassi suso; ma io era gia` per me stesso tal qual ei volea:
che’ la mia vista, venendo sincera,
e piu` e piu` intrava per lo raggio de l’alta luce che da se’ e` vera.
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio.
Qual e` colui che sognando vede,
che dopo ‘l sogno la passione impressa rimane, e l’altro a la mente non riede,
cotal son io, che’ quasi tutta cessa
mia visione, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.
Cosi` la neve al sol si disigilla;
cosi` al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.
O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi,
e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente;
che’, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi,
piu` si concepera` di tua vittoria.
Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi.
E’ mi ricorda ch’io fui piu` ardito
per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi l’aspetto mio col valore infinito.
Oh abbondante grazia ond’io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna, tanto che la veduta vi consunsi!
Nel suo profondo vidi che s’interna
legato con amore in un volume,
cio` che per l’universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume,
quasi conflati insieme, per tal modo che cio` ch’i’ dico e` un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perche’ piu` di largo, dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
Un punto solo m’e` maggior letargo
che venticinque secoli a la ‘mpresa, che fe’ Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.
Cosi` la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa.
A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto e` impossibil che mai si consenta;
pero` che ‘l ben, ch’e` del volere obietto, tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella e` defettivo cio` ch’e` li` perfetto.
Omai sara` piu` corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante che bagni ancor la lingua a la mammella.
Non perche’ piu` ch’un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch’io mirava,
che tal e` sempre qual s’era davante;
ma per la vista che s’avvalorava
in me guardando, una sola parvenza, mutandom’io, a me si travagliava.
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza;
e l’un da l’altro come iri da iri
parea reflesso, e ‘l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri.
Oh quanto e` corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, e` tanto, che non basta a dicer ‘poco’.
O luce etterna che sola in te sidi,
sola t’intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi!
Quella circulazion che si` concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,
dentro da se’, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige:
per che ‘l mio viso in lei tutto era messo.
Qual e` ‘l geometra che tutto s’affige per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
ma non eran da cio` le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A l’alta fantasia qui manco` possa;
ma gia` volgeva il mio disio e ‘l velle, si` come rota ch’igualmente e` mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
POSTSCRIPT
‘Ich habe unter meinen Papieren ein Blatt gefunden, wo ich die Baukunst eine erstarrte Musik nenne.’ (Johann Wolfgang Goethe, 1829 March 23)
I found Dante in a bar. The Poet had indeed lost the True Way to be found reduced to party chatter in a Capitol Hill basement, but I had found him at last. I must have been drinking in the Dark Tavern of Error, for I did not even realize I had begun the dolorous path followed by many since the Poet’s journey of A.D. 1300. Actually no one spoke a word about Dante or his Divine Comedy, rather I heard a second-hand Goethe call architecture “frozen music.” Soon I took my second step through the gate to a people lost; this time on a more respectable occasion–a lecture at the Catholic University of America. Clio, the muse of history, must have been aiding Prof. Schumacher that evening, because it sustained my full three-hour attention, even after I had just presented an all-night project. There I heard of a most astonishing Italian translation of ‘la Divina Commedia’ di Dante Alighieri. An Italian architect, Giuseppi Terragni, had translated the Comedy into the ‘Danteum,’ a projected stone and glass monument to Poet and Poem near the Basilica of Maxentius in Rome.
Do not look for the Danteum in the Eternal City. In true Dantean form, politics stood in the way of its construction in 1938. Ironically this literature-inspired building can itself most easily be found in book form. Reading this book I remembered Goethe’s quote about frozen music. Did Terragni try to freeze Dante’s medieval miracle of song? Certainly a cold-poem seems artistically repulsive. Unflattering comparisons to the lake of Cocytus spring to mind too. While I cannot read Italian, I can read some German. After locating the original quotation I discovered that ‘frozen’ is a problematic (though common) translation of Goethe’s original ‘erstarrte.’ The verb ‘erstarren’ more properly means ‘to solidify’ or ‘to stiffen.’ This suggests a chemical reaction in which the art does not necessarily chill in the transformation. Nor can simple thawing yield the original work. Like a chemical reaction it requires an artistic catalyst, a muse. Indeed the Danteum is not a physical translation of the Poem. Terragni thought it inappropriate to translate the Comedy literally into a non-literary work. The Danteum would not be a stage set, rather Terragni generated his design from the Comedy’s structure, not its finishes.
The poem is divided into three canticles of thirty-three cantos each, plus one extra in the first, the Inferno, making a total of one hundred cantos. Each canto is composed of three-line tercets, the first and third lines rhyme, the second line rhymes with the beginning of the next tercet, establishing a kind of overlap, reflected in the overlapping motif of the Danteum design. Dante’s realms are further subdivided: the Inferno is composed of nine levels, the vestibule makes a tenth. Purgatory has seven terraces, plus two ledges in an ante-purgatory; adding these to the Earthly Paradise yields ten zones. Paradise is composed of nine heavens; Empyrean makes the tenth. In the Inferno, sinners are organized by three vices–Incontinence, Violence, and Fraud–and further subdivided by the seven deadly sins. In Purgatory, penance is ordered on the basis of three types of natural love. Paradise is organized on the basis of three types of Divine Love, and further subdivided according to the three theological and four cardinal virtues. (Thomas Schumacher, “The Danteum,”
Princeton Architectural Press, 1993)
By translating the structure, Terragni could then layer the literal and the spiritual meanings of the Poem without allowing either to dominate. These layers of meaning are native to the Divine Comedy as they are native to much medieval literature, although modern readers and tourists may not be so familiar with them. They are literal, allegorical, moral, and anagogical. I offer you St. Thomas of Aquinas’ definition of these last three as they relate to Sacred Scripture:
. . .this spiritual sense has a threefold division. . .so far as the things of the Old Law signify the things of the New Law, there is the allegorical sense; so far as the things done in Christ, or so far as the things which signify Christ, are types of what we ought to do, there is the moral sense. But so far as they signify what relates to eternal glory, there is the anagogical sense. (Summa Theologica I, 1, 10)
Within the Danteum the Poet’s meanings lurk in solid form. An example: the Danteum design does have spaces literally associated with the Comedy–the Dark Wood of Error, Inferno, Purgatorio, and the Paradiso–but these spaces also relate among themselves spiritually. Dante often highlights a virtue by first condemning its corruption. Within Dante’s system Justice is the greatest of the cardinal virtues; its corruption, Fraud, is the most contemptible of vices. Because Dante saw the papacy as the most precious of sacred institutions, corrupt popes figure prominently among the damned in the Poet’s Inferno. In the Danteum the materiality of the worldly Dark Wood directly opposes the transcendence of the Paradiso. In the realm of error every thought is lost and secular, while in heaven every soul’s intent is directed toward God. The shadowy Inferno of the Danteum mirrors the Purgatorio’s illuminated ascent to heaven. Purgatory embodies hope and growth where hell chases its own dark inertia. Such is the cosmography shared by Terragni and Dante.
In this postscript I intend neither to fully examine the meaning nor the plan of the Danteum, but rather to evince the power that art has acted as a catalyst to other artists. The Danteum, a modern design inspired by a medieval poem, is but one example. Dante’s poem is filled with characters epitomizing the full range of vices and virtues of human personalities. Dante’s characters come from his present and literature’s past; they are mythological, biblical, classical, ancient, and medieval. They, rather than Calliope and her sisters, were Dante’s muses.
‘La Divina Commedia’ seems a natural candidate to complete Project