dentro al suo raggio la figura santa; e cosà chiusa chiusa mi rispuose
nel modo che Ãl seguente canto canta.
Paradiso â Canto VI
´Poscia che Costantin lÃaquila volse contrà al corso del ciel, chÃella seguio dietro a lÃantico che Lavina tolse,
cento e centà anni e piË lÃuccel di Dio ne lo stremo dÃEuropa si ritenne,
vicino aà monti deà quai prima uscÃo;
e sotto lÃombra de le sacre penne
governà Ãl mondo là di mano in mano, e, sà cangiando, in su la mia pervenne.
Cesare fui e son IustinÃano,
che, per voler del primo amor chÃià sento, dÃentro le leggi trassi il troppo e Ãl vano.
E prima chÃio a lÃovra fossi attento, una natura in Cristo esser, non piËe,
credea, e di tal fede era contento;
ma Ãl benedetto Agapito, che fue
sommo pastore, a la fede sincera
mi dirizzà con le parole sue.
Io li credetti; e cià che Ãn sua fede era, veggà io or chiaro sÃ, come tu vedi
ogni contradizione e falsa e vera.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, a Dio per grazia piacque di spirarmi
lÃalto lavoro, e tutto Ãn lui mi diedi;
e al mio Belisar commendai lÃarmi,
cui la destra del ciel fu sà congiunta, che segno fu chÃià dovessi posarmi.
Or qui a la question prima sÃappunta la mia risposta; ma sua condizione
mi stringe a seguitare alcuna giunta,
perchà tu veggi con quanta ragione
si move contrà al sacrosanto segno e chi Ãl sÃappropria e chi a lui sÃoppone.
Vedi quanta virtË lÃha fatto degno
di reverenza; e comincià da lÃora che Pallante morà per darli regno.
Tu sai chÃel fece in Alba sua dimora per trecento anni e oltre, infino al fine che i tre aà tre pugnar per lui ancora.
E sai chÃel fà dal mal de le Sabine al dolor di Lucrezia in sette regi,
vincendo intorno le genti vicine.
Sai quel chÃel fà portato da li egregi Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, incontro a li altri principi e collegi;
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro negletto fu nomato, i Deci e à Fabi
ebber la fama che volontier mirro.
Esso atterrà lÃorgoglio de li Arâ¡bi che di retro ad Anibale passaro
lÃalpestre rocce, Po, di che tu labi.
Sottà esso giovanetti trÃunfaro
ScipÃone e Pompeo; e a quel colle
sotto Ãl qual tu nascesti parve amaro.
Poi, presso al tempo che tutto Ãl ciel volle redur lo mondo a suo modo sereno,
Cesare per voler di Roma il tolle.
E quel che fà da Varo infino a Reno, Isara vide ed Era e vide Senna
e ogne valle onde Rodano à pieno.
Quel che fà poi chÃelli uscà di Ravenna e saltà Rubicon, fu di tal volo,
che nol seguiteria lingua nà penna.
Inverà la Spagna rivolse lo stuolo,
poi verà Durazzo, e Farsalia percosse sà chÃal Nil caldo si sentà del duolo.
Antandro e Simeonta, onde si mosse,
rivide e l⡠dovà Ettore si cuba; e mal per Tolomeo poscia si scosse.
Da indi scese folgorando a Iuba;
onde si volse nel vostro occidente, ove sentia la pompeana tuba.
Di quel che fà col baiulo seguente,
Bruto con Cassio ne lÃinferno latra, e Modena e Perugia fu dolente.
Piangene ancor la trista Cleopatra,
che, fuggendoli innanzi, dal colubro la morte prese subitana e atra.
Con costui corse infino al lito rubro; con costui puose il mondo in tanta pace, che fu serrato a Giano il suo delubro.
Ma cià che Ãl segno che parlar mi face fatto avea prima e poi era fatturo
per lo regno mortal chÃa lui soggiace,
diventa in apparenza poco e scuro,
se in mano al terzo Cesare si mira
con occhio chiaro e con affetto puro;
chà la viva giustizia che mi spira,
li concedette, in mano a quel chÃià dico, gloria di far vendetta a la sua ira.
Or qui tÃammira in cià chÃio ti replÃco: poscia con Tito a far vendetta corse
de la vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse
la Santa Chiesa, sotto le sue ali
Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
Omai puoi giudicar di quei cotali
chÃio accusai di sopra e di lor falli, che son cagion di tutti vostri mali.
LÃuno al pubblico segno i gigli gialli oppone, e lÃaltro appropria quello a parte, sà chÃà forte a veder chi piË si falli.
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte sottà altro segno, chà mal segue quello sempre chi la giustizia e lui diparte;
e non lÃabbatta esto Carlo novello
coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli chÃa piË alto leon trasser lo vello.
Molte fÃate giâ¡ pianser li figli
per la colpa del padre, e non si creda che Dio trasmuti lÃarmi per suoi gigli!
Questa picciola stella si correda
dÃi buoni spirti che son stati attivi perchà onore e fama li succeda:
e quando li disiri poggian quivi,
sà disvÃando, pur convien che i raggi del vero amore in sË poggin men vivi.
Ma nel commensurar dÃi nostri gaggi
col merto à parte di nostra letizia, perchà non li vedem minor nà maggi.
Quindi addolcisce la viva giustizia
in noi lÃaffetto sÃ, che non si puote torcer giâ¡ mai ad alcuna nequizia.
Diverse voci fanno dolci note;
cosà diversi scanni in nostra vita rendon dolce armonia tra queste rote.
E dentro a la presente margarita
luce la luce di Romeo, di cui
fu lÃovra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzai che fecer contra lui
non hanno riso; e perà mal cammina qual si fa danno del ben fare altrui.
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, Ramondo Beringhiere, e cià li fece
Romeo, persona umÃle e peregrina.
E poi il mosser le parole biece
a dimandar ragione a questo giusto, che li assegnà sette e cinque per diece,
indi partissi povero e vetusto;
e se Ãl mondo sapesse il cor chÃelli ebbe mendicando sua vita a frusto a frusto,
assai lo loda, e piË lo loderebbeª.
Paradiso â Canto VII
´Osanna, sanctus Deus sabaÃth,
superillustrans claritate tua
felices ignes horum malacÃth!ª.
CosÃ, volgendosi a la nota sua,
fu viso a me cantare essa sustanza, sopra la qual doppio lume sÃaddua;
ed essa e lÃaltre mossero a sua danza, e quasi velocissime faville
mi si velar di sËbita distanza.
Io dubitava e dicea ëDille, dille!à fra me, ëdilleà dicea, ëa la mia donna che mi diseta con le dolci stilleÃ.
Ma quella reverenza che sÃindonna
di tutto me, pur per Be e per ice,
mi richinava come lÃuom chÃassonna.
Poco sofferse me cotal Beatrice
e cominciÃ, raggiandomi dÃun riso tal, che nel foco faria lÃuom felice:
´Secondo mio infallibile avviso,
come giusta vendetta giustamente
punita fosse, tÃha in pensier miso;
ma io ti solverà tosto la mente;
e tu ascolta, chà le mie parole
di gran sentenza ti faran presente.
Per non soffrire a la virtË che vole freno a suo prode, quellà uom che non nacque, dannando sÃ, dannà tutta sua prole;
onde lÃumana specie inferma giacque
giË per secoli molti in grande errore, fin chÃal Verbo di Dio discender piacque
uà la natura, che dal suo fattore
sÃera allungata, unà a sà in persona con lÃatto sol del suo etterno amore.
Or drizza il viso a quel chÃor si ragiona: questa natura al suo fattore unita,
qual fu creata, fu sincera e buona;
ma per sà stessa pur fu ella sbandita di paradiso, perà che si torse
da via di veritâ¡ e da sua vita.
La pena dunque che la croce porse
sÃa la natura assunta si misura,
nulla gi⡠mai sà giustamente morse;
e cosà nulla fu di tanta ingiura,
guardando a la persona che sofferse, in che era contratta tal natura.
Perà dÃun atto uscir cose diverse:
chÃa Dio e aà Giudei piacque una morte; per lei tremà la terra e Ãl ciel sÃaperse.
Non ti dee oramai parer piË forte,
quando si dice che giusta vendetta
poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggià or la tua mente ristretta di pensiero in pensier dentro ad un nodo, del qual con gran disio solver sÃaspetta.
Tu dici: ìBen discerno cià chÃià odo; ma perchà Dio volesse, mÃà occulto,
a nostra redenzion pur questo modoî.
Questo decreto, frate, sta sepulto
a li occhi di ciascuno il cui ingegno ne la fiamma dÃamor non à adulto.
Veramente, perà chÃa questo segno
molto si mira e poco si discerne,
dirà perchà tal modo fu piË degno.
La divina bontâ¡, che da sà sperne
ogne livore, ardendo in sÃ, sfavilla sà che dispiega le bellezze etterne.
Cià che da lei sanza mezzo distilla
non ha poi fine, perchà non si move la sua imprenta quandà ella sigilla.
Cià che da essa sanza mezzo piove
libero à tutto, perchà non soggiace a la virtute de le cose nove.
PiË lÃà conforme, e perà piË le piace; chà lÃardor santo chÃogne cosa raggia, ne la piË somigliante à piË vivace.
Di tutte queste dote sÃavvantaggia
lÃumana creatura, e sÃuna manca,
di sua nobilitâ¡ convien che caggia.
Solo il peccato à quel che la disfranca e falla dissimÃle al sommo bene,
per che del lume suo poco sÃimbianca;
e in sua dignitâ¡ mai non rivene,
se non rÃempie, dove colpa vÃta,
contra mal dilettar con giuste pene.
Vostra natura, quando peccà tota
nel seme suo, da queste dignitadi,
come di paradiso, fu remota;
nà ricovrar potiensi, se tu badi
ben sottilmente, per alcuna via,
sanza passar per un di questi guadi:
o che Dio solo per sua cortesia
dimesso avesse, o che lÃuom per sà isso avesse sodisfatto a sua follia.
Ficca mo lÃocchio per entro lÃabisso de lÃetterno consiglio, quanto puoi
al mio parlar distrettamente fisso.
Non potea lÃuomo neà termini suoi
mai sodisfar, per non potere ir giuso con umiltate obedÃendo poi,
quanto disobediendo intese ir suso;
e questa à la cagion per che lÃuom fue da poter sodisfar per sà dischiuso.
Dunque a Dio convenia con le vie sue
riparar lÃomo a sua intera vita,
dico con lÃuna, o ver con amendue.
Ma perchà lÃovra tanto à piË gradita da lÃoperante, quanto piË appresenta
de la bont⡠del core ondà ellà à uscita,
la divina bontâ¡ che Ãl mondo imprenta, di proceder per tutte le sue vie,
a rilevarvi suso, fu contenta.
Nà tra lÃultima notte e Ãl primo die sà alto o sà magnifico processo,
o per lÃuna o per lÃaltra, fu o fie:
chà piË largo fu Dio a dar sà stesso per far lÃuom sufficiente a rilevarsi,
che sÃelli avesse sol da sà dimesso;
e tutti li altri modi erano scarsi
a la giustizia, se Ãl Figliuol di Dio non fosse umilÃato ad incarnarsi.
Or per empierti bene ogne disio,
ritorno a dichiararti in alcun loco, perchà tu veggi là cosà comà io.
Tu dici: ìIo veggio lÃacqua, io veggio il foco, lÃaere e la terra e tutte lor misture
venire a corruzione, e durar poco;
e queste cose pur furon creature;
per che, se cià chÃà detto à stato vero, esser dovrien da corruzion sicureî.
Li angeli, frate, e Ãl paese sincero nel qual tu seÃ, dir si posson creati,
sà come sono, in loro essere intero;
ma li alimenti che tu hai nomati
e quelle cose che di lor si fanno
da creata virtË sono informati.
Creata fu la materia chÃelli hanno;
creata fu la virtË informante
in queste stelle che Ãntorno a lor vanno.
LÃanima dÃogne bruto e de le piante di complession potenzÃata tira
lo raggio e Ãl moto de le luci sante;
ma vostra vita sanza mezzo spira
la somma beninanza, e la innamora
di sà sà che poi sempre la disira.
E quinci puoi argomentare ancora
vostra resurrezion, se tu ripensi
come lÃumana carne fessi allora
che li primi parenti intrambo fensiª.
Paradiso â Canto VIII
Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
per che non pur a lei faceano onore
di sacrificio e di votivo grido
le genti antiche ne lÃantico errore;
ma DÃone onoravano e Cupido,
quella per madre sua, questo per figlio, e dicean chÃel sedette in grembo a Dido;
e da costei ondà io principio piglio pigliavano il vocabol de la stella
che Ãl sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
Io non mÃaccorsi del salire in ella; ma dÃesservi entro mi fà assai fede
la donna mia chÃià vidi far piË bella.
E come in fiamma favilla si vede,
e come in voce voce si discerne,
quandà una à ferma e altra va e riede,
vidà io in essa luce altre lucerne
muoversi in giro piË e men correnti, al modo, credo, di lor viste interne.
Di fredda nube non disceser venti,
o visibili o no, tanto festini,
che non paressero impediti e lenti
a chi avesse quei lumi divini
veduti a noi venir, lasciando il giro pria cominciato in li alti Serafini;
e dentro a quei che piË innanzi appariro sonava ëOsannaà sÃ, che unque poi
di rÃudir non fui sanza disiro.
Indi si fece lÃun piË presso a noi
e solo incominciÃ: ´Tutti sem presti al tuo piacer, perchà di noi ti gioi.
Noi ci volgiam coi principi celesti
dÃun giro e dÃun girare e dÃuna sete, ai quali tu del mondo giâ¡ dicesti:
ëVoi che Ãntendendo il terzo ciel moveteÃ; e sem sà pien dÃamor, che, per piacerti, non fia men dolce un poco di quÃeteª.
Poscia che li occhi miei si fuoro offerti a la mia donna reverenti, ed essa
fatti li avea di sà contenti e certi,
rivolsersi a la luce che promessa
tanto sÃavea, e ´Deh, chi siete?ª fue la voce mia di grande affetto impressa.
E quanta e quale vidà io lei far piËe per allegrezza nova che sÃaccrebbe,
quando parlai, a lÃallegrezze sue!
Cosà fatta, mi disse: ´Il mondo mÃebbe giË poco tempo; e se piË fosse stato,
molto sarâ¡ di mal, che non sarebbe.
La mia letizia mi ti tien celato
che mi raggia dintorno e mi nasconde quasi animal di sua seta fasciato.
Assai mÃamasti, e avesti ben onde;
che sÃio fossi giË stato, io ti mostrava di mio amor piË oltre che le fronde.
Quella sinistra riva che si lava
di Rodano poi chÃÃ misto con Sorga, per suo segnore a tempo mÃaspettava,
e quel corno dÃAusonia che sÃimborga di Bari e di Gaeta e di Catona,
da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
Fulgeami giâ¡ in fronte la corona
di quella terra che Ãl Danubio riga poi che le ripe tedesche abbandona.
E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra Ãl golfo che riceve da Euro maggior briga,
non per Tifeo ma per nascente solfo,
attesi avrebbe li suoi regi ancora, nati per me di Carlo e di Ridolfo,
se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: ìMora, mora!î.
E se mio frate questo antivedesse,
lÃavara povertâ¡ di Catalogna
gi⡠fuggeria, perchà non li offendesse;
chà veramente proveder bisogna
per lui, o per altrui, sà chÃa sua barca carcata piË dÃincarco non si pogna.
La sua natura, che di larga parca
discese, avria mestier di tal milizia che non curasse di mettere in arcaª.
´Perà chÃià credo che lÃalta letizia che Ãl tuo parlar mÃinfonde, segnor mio, lâ¡ Ãve ogne ben si termina e sÃinizia,
per te si veggia come la veggà io,
grata mÃà piË; e anco questà ho caro perchà Ãl discerni rimirando in Dio.
Fatto mÃhai lieto, e cosà mi fa chiaro, poi che, parlando, a dubitar mÃhai mosso comà esser puÃ, di dolce seme, amaroª.
Questo io a lui; ed elli a me: ´SÃio posso mostrarti un vero, a quel che tu dimandi terrai lo viso come tien lo dosso.
Lo ben che tutto il regno che tu scandi volge e contenta, fa esser virtute
sua provedenza in questi corpi grandi.
E non pur le nature provedute
sono in la mente chÃà da sà perfetta, ma esse insieme con la lor salute:
per che quantunque questà arco saetta disposto cade a proveduto fine,
sà come cosa in suo segno diretta.
Se cià non fosse, il ciel che tu cammine producerebbe sà li suoi effetti,
che non sarebbero arti, ma ruine;
e cià esser non puÃ, se li Ãntelletti che muovon queste stelle non son manchi, e manco il primo, che non li ha perfetti.
Vuoà tu che questo ver piË ti sÃimbianchi?ª. E io: ´Non giâ¡; chà impossibil veggio che la natura, in quel chÃà uopo, stanchiª.
Ondà elli ancora: ´Or dÃ: sarebbe il peggio per lÃomo in terra, se non fosse cive?ª. ´Sê, rispuosà io; ´e qui ragion non cheggioª.
´E puotà elli esser, se giË non si vive diversamente per diversi offici?
Non, se Ãl maestro vostro ben vi scriveª.
SÃ venne deducendo infino a quici;
poscia conchiuse: ´Dunque esser diverse convien di vostri effetti le radici:
per chÃun nasce Solone e altro Serse, altro MelchisedÃch e altro quello
che, volando per lÃaere, il figlio perse.
La circular natura, chÃÃ suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue lÃun da lÃaltro ostello.
Quinci addivien chÃEsaË si diparte
per seme da IacÃb; e vien Quirino
da sà vil padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre aà generanti, se non vincesse il proveder divino.
Or quel che tÃera dietro tÃà davanti: ma perchà sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che tÃammanti.
Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sÃ, comà ogne altra semente fuor di sua regÃon, fa mala prova.
E se Ãl mondo lâ¡ giË ponesse mente al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la religÃone
tal che fia nato a cignersi la spada, e fate re di tal chÃÃ da sermone;
onde la traccia vostra à fuor di stradaª.
Paradiso â Canto IX
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, mÃebbe chiarito, mi narrà li Ãnganni
che ricever dovea la sua semenza;
ma disse: ´Taci e lascia muover li anniª; sà chÃio non posso dir se non che pianto giusto verrâ¡ di retro ai vostri danni.
E giâ¡ la vita di quel lume santo
rivolta sÃera al Sol che la rÃempie come quel ben chÃa ogne cosa à tanto.
Ahi anime ingannate e fatture empie,
che da sà fatto ben torcete i cuori, drizzando in vanit⡠le vostre tempie!
Ed ecco un altro di quelli splendori
verà me si fece, e Ãl suo voler piacermi significava nel chiarir di fori.
Li occhi di BÃatrice, chÃeran fermi sovra me, come pria, di caro assenso
al mio disio certificato fermi.
´Deh, metti al mio voler tosto compenso, beato spirtoª, dissi, ´e fammi prova
chÃià possa in te refletter quel chÃio penso!ª.
Onde la luce che mÃera ancor nova,
del suo profondo, ondà ella pria cantava, seguette come a cui di ben far giova:
´In quella parte de la terra prava
italica che siede tra RÃalto
e le fontane di Brenta e di Piava,
si leva un colle, e non surge moltà alto, l⡠onde scese gi⡠una facella
che fece a la contrada un grande assalto.
DÃuna radice nacqui e io ed ella:
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo perchà mi vinse il lume dÃesta stella;
ma lietamente a me medesma indulgo
la cagion di mia sorte, e non mi noia; che parria forse forte al vostro vulgo.
Di questa luculenta e cara gioia
del nostro cielo che piË mÃÃ propinqua, grande fama rimase; e pria che moia,
questo centesimo anno ancor sÃincinqua: vedi se far si dee lÃomo eccellente,
sà chÃaltra vita la prima relinqua.
E cià non pensa la turba presente
che Tagliamento e Adice richiude,
nà per esser battuta ancor si pente;
ma tosto fia che Padova al palude
cangerâ¡ lÃacqua che Vincenza bagna, per essere al dover le genti crude;
e dove Sile e Cagnan sÃaccompagna,
tal signoreggia e va con la testa alta, che giâ¡ per lui carpir si fa la ragna.
Piangerâ¡ Feltro ancora la difalta
de lÃempio suo pastor, che sarâ¡ sconcia sÃ, che per simil non sÃentrà in malta.
Troppo sarebbe larga la bigoncia
che ricevesse il sangue ferrarese,
e stanco chi Ãl pesasse a oncia a oncia,
che donerâ¡ questo prete cortese
per mostrarsi di parte; e cotai doni conformi fieno al viver del paese.
SË sono specchi, voi dicete Troni,
onde refulge a noi Dio giudicante;
sà che questi parlar ne paion buoniª.
Qui si tacette; e fecemi sembiante
che fosse ad altro volta, per la rota in che si mise comà era davante.
LÃaltra letizia, che mÃera giâ¡ nota per cara cosa, mi si fece in vista
qual fin balasso in che lo sol percuota.
Per letiziar lâ¡ sË fulgor sÃacquista, sà come riso qui; ma giË sÃabbuia
lÃombra di fuor, come la mente à trista.
´Dio vede tutto, e tuo veder sÃinluiaª, dissà io, ´beato spirto, sà che nulla voglia di sà a te puotà esser fuia.
Dunque la voce tua, che Ãl ciel trastulla sempre col canto di quei fuochi pii
che di sei ali facen la coculla,
perchà non satisface aà miei disii? Gi⡠non attendereà io tua dimanda,
sÃio mÃintuassi, come tu tÃinmiiª.
´La maggior valle in che lÃacqua si spandaª, incominciaro allor le sue parole,
´fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
tra à discordanti liti contra Ãl sole tanto sen va, che fa meridÃano
lâ¡ dove lÃorizzonte pria far suole.
Di quella valle fuà io litorano
tra Ebro e Macra, che per cammin corto parte lo Genovese dal Toscano.
Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede e la terra ondà io fui, che fà del sangue suo gi⡠caldo il porto.
Folco mi disse quella gente a cui
fu noto il nome mio; e questo cielo di me sÃimprenta, comà io feà di lui;
chà piË non arse la figlia di Belo, noiando e a Sicheo e a Creusa,
di me, infin che si convenne al pelo;
nà quella RodopÃa che delusa
fu da Demofoonte, nà Alcide
quando Iole nel core ebbe rinchiusa.
Non perà qui si pente, ma si ride,
non de la colpa, chÃa mente non torna, ma del valor chÃordinà e provide.
Qui si rimira ne lÃarte chÃaddorna
cotanto affetto, e discernesi Ãl bene per che Ãl mondo di sË quel di giË torna.
Ma perchà tutte le tue voglie piene
ten porti che son nate in questa spera, proceder ancor oltre mi convene.
Tu vuoà saper chi à in questa lumera che qui appresso me cosà scintilla
come raggio di sole in acqua mera.
Or sappi che l⡠entro si tranquilla Raab; e a nostrà ordine congiunta,
di lei nel sommo grado si sigilla.
Da questo cielo, in cui lÃombra sÃappunta che Ãl vostro mondo face, pria chÃaltrà alma del trÃunfo di Cristo fu assunta.
Ben si convenne lei lasciar per palma in alcun cielo de lÃalta vittoria
che sÃacquistà con lÃuna e lÃaltra palma,
perchà ella favorà la prima gloria
di Ios¸à in su la Terra Santa,
che poco tocca al papa la memoria.
La tua cittâ¡, che di colui à pianta che pria volse le spalle al suo fattore
e di cui à la Ãnvidia tanto pianta,
produce e spande il maladetto fiore
cÃha disvÃate le pecore e li agni, perà che fatto ha lupo del pastore.
Per questo lÃEvangelio e i dottor magni son derelitti, e solo ai Decretali
si studia, sà che pare aà lor vivagni.
A questo intende il papa e à cardinali; non vanno i lor pensieri a Nazarette,
lâ¡ dove GabrÃello aperse lÃali.
Ma Vaticano e lÃaltre parti elette
di Roma che son state cimitero
a la milizia che Pietro seguette,
tosto libere fien de lÃavolteroª.
Paradiso â Canto X
Guardando nel suo Figlio con lÃAmore che lÃuno e lÃaltro etternalmente spira, lo primo e ineffabile Valore
quanto per mente e per loco si gira
con tantà ordine fÃ, chÃesser non puote sanza gustar di lui chi cià rimira.
Leva dunque, lettore, a lÃalte rote
meco la vista, dritto a quella parte dove lÃun moto e lÃaltro si percuote;
e là comincia a vagheggiar ne lÃarte di quel maestro che dentro a sà lÃama, tanto che mai da lei lÃocchio non parte.
Vedi come da indi si dirama
lÃoblico cerchio che i pianeti porta, per sodisfare al mondo che li chiama.
Che se la strada lor non fosse torta, molta virtË nel ciel sarebbe in vano,
e quasi ogne potenza qua giË morta;
e se dal dritto piË o men lontano
fosse Ãl partire, assai sarebbe manco e giË e sË de lÃordine mondano.
Or ti riman, lettor, sovra Ãl tuo banco, dietro pensando a cià che si preliba,
sÃesser vuoi lieto assai prima che stanco.
Messo tÃho innanzi: omai per te ti ciba; chà a sà torce tutta la mia cura
quella materia ondà io son fatto scriba.
Lo ministro maggior de la natura,
che del valor del ciel lo mondo imprenta e col suo lume il tempo ne misura,
con quella parte che sË si rammenta
congiunto, si girava per le spire
in che piË tosto ognora sÃappresenta;
e io era con lui; ma del salire
non mÃaccorsà io, se non comà uom sÃaccorge, anzi Ãl primo pensier, del suo venire.
» BÃatrice quella che sà scorge
di bene in meglio, sà subitamente
che lÃatto suo per tempo non si sporge.
Quantà esser convenia da sà lucente quel chÃera dentro al sol dovà io entraÃmi, non per color, ma per lume parvente!
Perchà io lo Ãngegno e lÃarte e lÃuso chiami, sà nol direi che mai sÃimaginasse;
ma creder puossi e di veder si brami.
E se le fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non à maraviglia; chà sopra Ãl sol non fu occhio chÃandasse.
Tal era quivi la quarta famiglia
de lÃalto Padre, che sempre la sazia, mostrando come spira e come figlia.
E BÃatrice cominciÃ: ´Ringrazia,
ringrazia il Sol de li angeli, chÃa questo sensibil tÃha levato per sua graziaª.
Cor di mortal non fu mai sà digesto
a divozione e a rendersi a Dio
con tutto Ãl suo gradir cotanto presto,
come a quelle parole mi fecà io;
e sà tutto Ãl mio amore in lui si mise, che BÃatrice eclissà ne lÃoblio.
Non le dispiacque; ma sà se ne rise, che lo splendor de li occhi suoi ridenti mia mente unita in piË cose divise.
Io vidi piË folgÃr vivi e vincenti
far di noi centro e di sà far corona, piË dolci in voce che in vista lucenti:
cosà cinger la figlia di Latona
vedem talvolta, quando lÃaere à pregno, sà che ritenga il fil che fa la zona.
Ne la corte del cielo, ondà io rivegno, si trovan molte gioie care e belle
tanto che non si posson trar del regno;
e Ãl canto di quei lumi era di quelle; chi non sÃimpenna sà che lâ¡ sË voli, dal muto aspetti quindi le novelle.
Poi, sà cantando, quelli ardenti soli si fuor girati intorno a noi tre volte,
come stelle vicine aà fermi poli,
donne mi parver, non da ballo sciolte, ma che sÃarrestin tacite, ascoltando
fin che le nove note hanno ricolte.
E dentro a lÃun sentià cominciar: ´Quando lo raggio de la grazia, onde sÃaccende
verace amore e che poi cresce amando,
multiplicato in te tanto resplende,
che ti conduce su per quella scala
uà sanza risalir nessun discende;
qual ti negasse il vin de la sua fiala per la tua sete, in libertâ¡ non fora
se non comà acqua chÃal mar non si cala.
Tu vuoà saper di quai piante sÃinfiora questa ghirlanda che Ãntorno vagheggia
la bella donna chÃal ciel tÃavvalora.
Io fui de li agni de la santa greggia che Domenico mena per cammino
uà ben sÃimpingua se non si vaneggia.
Questi che mÃÃ a destra piË vicino, frate e maestro fummi, ed esso Alberto
à di Cologna, e io Thomas dÃAquino.
Se sà di tutti li altri esser vuoà certo, di retro al mio parlar ten vien col viso girando su per lo beato serto.
Quellà altro fiammeggiare esce del riso di GrazÃan, che lÃuno e lÃaltro foro
aiutà sà che piace in paradiso.
LÃaltro chÃappresso addorna il nostro coro, quel Pietro fu che con la poverella
offerse a Santa Chiesa suo tesoro.
La quinta luce, chÃÃ tra noi piË bella, spira di tale amor, che tutto Ãl mondo
lâ¡ giË ne gola di saper novella:
entro vÃà lÃalta mente uà sà profondo saver fu messo, che, se Ãl vero à vero, a veder tanto non surse il secondo.
Appresso vedi il lume di quel cero
che giË in carne piË a dentro vide lÃangelica natura e Ãl ministero.
Ne lÃaltra piccioletta luce ride
quello avvocato deà tempi cristiani del cui latino Augustin si provide.
Or se tu lÃocchio de la mente trani
di luce in luce dietro a le mie lode, giâ¡ de lÃottava con sete rimani.
Per vedere ogne ben dentro vi gode
lÃanima santa che Ãl mondo fallace fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo ondà ella fu cacciata giace giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
e da essilio venne a questa pace.
Vedi oltre fiammeggiar lÃardente spiro dÃIsidoro, di Beda e di Riccardo,
che a considerar fu piË che viro.
Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, Ã Ãl lume dÃuno spirto che Ãn pensieri gravi a morir li parve venir tardo:
essa à la luce etterna di Sigieri,
che, leggendo nel Vico de li Strami, silogizzà invidÃosi veriª.
Indi, come orologio che ne chiami
ne lÃora che la sposa di Dio surge a mattinar lo sposo perchà lÃami,
che lÃuna parte e lÃaltra tira e urge, tin tin sonando con sà dolce nota,
che Ãl ben disposto spirto dÃamor turge;
cosà vidà Ão la gloriosa rota
muoversi e render voce a voce in tempra e in dolcezza chÃesser non pà nota
se non colâ¡ dove gioir sÃinsempra.
Paradiso â Canto XI
O insensata cura deà mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter lÃali!
Chi dietro a iura e chi ad amforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio, e chi regnar per forza o per sofismi,
e chi rubare e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto sÃaffaticava e chi si dava a lÃozio,
quando, da tutte queste cose sciolto, con BÃatrice mÃera suso in cielo
cotanto glorÃosamente accolto.
Poi che ciascuno fu tornato ne lo
punto del cerchio in che avanti sÃera, fermossi, come a candellier candelo.
E io sentià dentro a quella lumera
che pria mÃavea parlato, sorridendo incominciar, faccendosi piË mera:
´Cosà comà io del suo raggio resplendo, sÃ, riguardando ne la luce etterna,
li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.
Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
in sà aperta e Ãn sà distesa lingua lo dicer mio, chÃal tuo sentir si sterna,
ove dinanzi dissi: ìUà ben sÃimpinguaî, e lâ¡ uà dissi: ìNon nacque il secondoî; e qui à uopo che ben si distingua.
La provedenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogne aspetto creato à vinto pria che vada al fondo,
perà che andasse verà lo suo diletto la sposa di colui chÃad alte grida
disposà lei col sangue benedetto,
in sà sicura e anche a lui piË fida, due principi ordinà in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida.
LÃun fu tutto serafico in ardore;
lÃaltro per sapÃenza in terra fue di cherubica luce uno splendore.
De lÃun dirÃ, perà che dÃamendue
si dice lÃun pregiando, qual chÃom prende, perchà ad un fine fur lÃopere sue.
Intra Tupino e lÃacqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa dÃalto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange per grave giogo Nocera con Gualdo.
Di questa costa, lâ¡ dovà ella frange piË sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo talvolta di Gange.
Perà chi dÃesso loco fa parole,
non dica Ascesi, chà direbbe corto, ma OrÃente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan da lÃorto, chÃel comincià a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto;
chà per tal donna, giovinetto, in guerra del padre corse, a cui, come a la morte, la porta del piacer nessun diserra;
e dinanzi a la sua spirital corte
et coram patre le si fece unito;
poscia di dà in dà lÃamà piË forte.
Questa, privata del primo marito,
millecentà anni e piË dispetta e scura fino a costui si stette sanza invito;
nà valse udir che la trovà sicura
con Amiclate, al suon de la sua voce, colui chÃa tutto Ãl mondo fà paura;
nà valse esser costante nà feroce,
sà che, dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo pianse in su la croce.
Ma perchà io non proceda troppo chiuso, Francesco e Povert⡠per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.
La lor concordia e i lor lieti sembianti, amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi;
tanto che Ãl venerabile Bernardo
si scalzà prima, e dietro a tanta pace corse e, correndo, li parve esser tardo.
Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sà la sposa piace.
Indi sen va quel padre e quel maestro con la sua donna e con quella famiglia
che giâ¡ legava lÃumile capestro.
Nà li gravà vilt⡠di cuor le ciglia per esser fià di Pietro Bernardone,
nà per parer dispetto a maraviglia;
ma regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe primo sigillo a sua religÃone.
Poi che la gente poverella crebbe
dietro a costui, la cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe,
di seconda corona redimita
fu per Onorio da lÃEtterno Spiro
la santa voglia dÃesto archimandrita.
E poi che, per la sete del martiro,
ne la presenza del Soldan superba
predicà Cristo e li altri che Ãl seguiro,
e per trovare a conversione acerba
troppo la gente e per non stare indarno, redissi al frutto de lÃitalica erba,
nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese lÃultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.
Quando a colui chÃa tanto ben sortillo piacque di trarlo suso a la mercede
chÃel merità nel suo farsi pusillo,
aà frati suoi, sà comà a giuste rede, raccomandà la donna sua piË cara,
e comandà che lÃamassero a fede;
e del suo grembo lÃanima preclara
mover si volle, tornando al suo regno, e al suo corpo non volle altra bara.
Pensa oramai qual fu colui che degno
collega fu a mantener la barca
di Pietro in alto mar per dritto segno;
e questo fu il nostro patrÃarca;
per che qual segue lui, comà el comanda, discerner puoi che buone merce carca.
Ma Ãl suo pecuglio di nova vivanda
à fatto ghiotto, sà chÃesser non puote che per diversi salti non si spanda;
e quanto le sue pecore remote
e vagabunde piË da esso vanno,
piË tornano a lÃovil di latte vÃte.
Ben son di quelle che temono Ãl danno e stringonsi al pastor; ma son sà poche, che le cappe fornisce poco panno.
Or, se le mie parole non son fioche,
se la tua audÃenza à stata attenta, se cià chÃà detto a la mente revoche,
in parte fia la tua voglia contenta,
perchà vedrai la pianta onde si scheggia, e vedraà il corrÃgger che argomenta
ìUà ben sÃimpingua, se non si vaneggiaîª.
Paradiso â Canto XII
SÃ tosto come lÃultima parola
la benedetta fiamma per dir tolse,
a rotar comincià la santa mola;
e nel suo giro tutta non si volse
prima chÃunÃaltra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto colse;
canto che tanto vince nostre muse,
nostre serene in quelle dolci tube, quanto primo splendor quel chÃeà refuse.
Come si volgon per tenera nube
due archi paralelli e concolori,
quando Iunone a sua ancella iube,
nascendo di quel dÃentro quel di fori, a guisa del parlar di quella vaga
chÃamor consunse come sol vapori,
e fanno qui la gente esser presaga,
per lo patto che Dio con Noà puose, del mondo che giâ¡ mai piË non sÃallaga:
cosà di quelle sempiterne rose
volgiensi circa noi le due ghirlande, e sà lÃestrema a lÃintima rispuose.
Poi che Ãl tripudio e lÃaltra festa grande, sà del cantare e sà del fiammeggiarsi
luce con luce gaudÃose e blande,
insieme a punto e a voler quetarsi,
pur come li occhi chÃal piacer che i move conviene insieme chiudere e levarsi;
del cor de lÃuna de le luci nove
si mosse voce, che lÃago a la stella parer mi fece in volgermi al suo dove;
e cominciÃ: ´LÃamor che mi fa bella mi tragge a ragionar de lÃaltro duca
per cui del mio sà ben ci si favella.
Degno à che, dovà à lÃun, lÃaltro sÃinduca: sà che, comà elli ad una militaro,
cosà la gloria loro insieme luca.
LÃessercito di Cristo, che sà caro
costà a rÃarmar, dietro a la Ãnsegna si movea tardo, sospeccioso e raro,
quando lo Ãmperador che sempre regna provide a la milizia, chÃera in forse,
per sola grazia, non per esser degna;
e, come à detto, a sua sposa soccorse con due campioni, al cui fare, al cui dire lo popol disvÃato si raccorse.
In quella parte ove surge ad aprire
Zefiro dolce le novelle fronde
di che si vede Europa rivestire,
non molto lungi al percuoter de lÃonde dietro a le quali, per la lunga foga,
lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,
siede la fortunata Calaroga
sotto la protezion del grande scudo in che soggiace il leone e soggioga:
dentro vi nacque lÃamoroso drudo
de la fede cristiana, il santo atleta benigno aà suoi e aà nemici crudo;
e come fu creata, fu repleta
sà la sua mente di viva vertute
che, ne la madre, lei fece profeta.
Poi che le sponsalizie fuor compiute
al sacro fonte intra lui e la Fede, uà si dotar di mut¸a salute,
la donna che per lui lÃassenso diede, vide nel sonno il mirabile frutto
chÃuscir dovea di lui e de le rede;
e perchà fosse qual era in costrutto, quinci si mosse spirito a nomarlo
del possessivo di cui era tutto.
Domenico fu detto; e io ne parlo
sà come de lÃagricola che Cristo
elesse a lÃorto suo per aiutarlo.
Ben parve messo e famigliar di Cristo: che Ãl primo amor che Ãn lui fu manifesto, fu al primo consiglio che dià Cristo.
Spesse fÃate fu tacito e desto
trovato in terra da la sua nutrice, come dicesse: ëIo son venuto a questoÃ.
Oh padre suo veramente Felice!
oh madre sua veramente Giovanna,
se, interpretata, val come si dice!
Non per lo mondo, per cui mo sÃaffanna di retro ad OstÃense e a Taddeo,
ma per amor de la verace manna
in picciol tempo gran dottor si feo;
tal che si mise a circ¸ir la vigna che tosto imbianca, se Ãl vignaio à reo.
E a la sedia che fu giâ¡ benigna
piË aà poveri giusti, non per lei, ma per colui che siede, che traligna,
non dispensare o due o tre per sei,
non la fortuna di prima vacante,
non decimas, quae sunt pauperum Dei,
addimandÃ, ma contro al mondo errante licenza di combatter per lo seme
del qual ti fascian ventiquattro piante.
Poi, con dottrina e con volere insieme, con lÃofficio appostolico si mosse
quasi torrente chÃalta vena preme;
e ne li sterpi eretici percosse
lÃimpeto suo, piË vivamente quivi dove le resistenze eran piË grosse.
Di lui si fecer poi diversi rivi
onde lÃorto catolico si riga,
sà che i suoi arbuscelli stan piË vivi.
Se tal fu lÃuna rota de la biga
in che la Santa Chiesa si difese
e vinse in campo la sua civil briga,
ben ti dovrebbe assai esser palese
lÃeccellenza de lÃaltra, di cui Tomma dinanzi al mio venir fu sà cortese.
Ma lÃorbita che fà la parte somma
di sua circunferenza, à derelitta, sà chÃà la muffa dovà era la gromma.
La sua famiglia, che si mosse dritta
coi piedi a le sue orme, Ã tanto volta, che quel dinanzi a quel di retro gitta;
e tosto si vedrâ¡ de la ricolta
de la mala coltura, quando il loglio si lagnerâ¡ che lÃarca li sia tolta.
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio nostro volume, ancor troveria carta
uà leggerebbe ìIà mi son quel chÃià soglioî;
ma non fia da Casal nà dÃAcquasparta, lâ¡ onde vegnon tali a la scrittura,
chÃuno la fugge e altro la coarta.
Io son la vita di Bonaventura
da Bagnoregio, che neà grandi offici sempre pospuosi la sinistra cura.
Illuminato e Augustin son quici,
che fuor deà primi scalzi poverelli che nel capestro a Dio si fero amici.
Ugo da San Vittore à qui con elli,
e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, lo qual giË luce in dodici libelli;
Natâ¡n profeta e Ãl metropolitano
Crisostomo e Anselmo e quel Donato
chÃa la primà arte degnà porre mano.
Rabano à qui, e lucemi dallato
il calavrese abate Giovacchino
di spirito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino
mi mosse lÃinfiammata cortesia
di fra Tommaso e Ãl discreto latino;
e mosse meco questa compagniaª.
Paradiso â Canto XIII
Imagini, chi bene intender cupe
quel chÃià or vidióe ritegna lÃimage, mentre chÃio dico, come ferma rupeó,
quindici stelle che Ãn diverse plage lo ciel avvivan di tanto sereno
che soperchia de lÃaere ogne compage;
imagini quel carro a cuà il seno
basta del nostro cielo e notte e giorno, sà chÃal volger del temo non vien meno;
imagini la bocca di quel corno
che si comincia in punta de lo stelo a cui la prima rota va dintorno,
aver fatto di sà due segni in cielo, qual fece la figliuola di Minoi
allora che sentà di morte il gelo;
e lÃun ne lÃaltro aver li raggi suoi, e amendue girarsi per maniera
che lÃuno andasse al primo e lÃaltro al poi;
e avrâ¡ quasi lÃombra de la vera
costellazione e de la doppia danza
che circulava il punto dovà io era:
poi chÃÃ tanto di lâ¡ da nostra usanza, quanto di lâ¡ dal mover de la Chiana
si move il ciel che tutti li altri avanza.
Là si cantà non Bacco, non Peana,
ma tre persone in divina natura,
e in una persona essa e lÃumana.
Compià Ãl cantare e Ãl volger sua misura; e attesersi a noi quei santi lumi,
felicitando sà di cura in cura.
Ruppe il silenzio neà concordi numi
poscia la luce in che mirabil vita
del poverel di Dio narrata fumi,
e disse: ´Quando lÃuna paglia à trita, quando la sua semenza à giâ¡ riposta,
a batter lÃaltra dolce amor mÃinvita.
Tu credi che nel petto onde la costa
si trasse per formar la bella guancia il cui palato a tutto Ãl mondo costa,
e in quel che, forato da la lancia,
e prima e poscia tanto sodisfece,
che dÃogne colpa vince la bilancia,
quantunque a la natura umana lece
aver di lume, tutto fosse infuso
da quel valor che lÃuno e lÃaltro fece;
e perà miri a cià chÃio dissi suso, quando narrai che non ebbe Ãl secondo
lo ben che ne la quinta luce à chiuso.
Or apri li occhi a quel chÃio ti rispondo, e vedrâ°i il tuo credere e Ãl mio dire nel vero farsi come centro in tondo.
Cià che non more e cià che puà morire non à se non splendor di quella idea
che partorisce, amando, il nostro Sire;
chà quella viva luce che sà mea
dal suo lucente, che non si disuna
da lui nà da lÃamor chÃa lor sÃintrea,
per sua bontate il suo raggiare aduna, quasi specchiato, in nove sussistenze,
etternalmente rimanendosi una.
Quindi discende a lÃultime potenze
giË dÃatto in atto, tanto divenendo, che piË non fa che brevi contingenze;
e queste contingenze essere intendo
le cose generate, che produce
con seme e sanza seme il ciel movendo.
La cera di costoro e chi la duce
non sta dÃun modo; e perà sotto Ãl segno idÃale poi piË e men traluce.
Ondà elli avvien chÃun medesimo legno, secondo specie, meglio e peggio frutta;
e voi nascete con diverso ingegno.
Se fosse a punto la cera dedutta
e fosse il cielo in sua virtË supprema, la luce del suggel parrebbe tutta;
ma la natura la dâ¡ sempre scema,
similemente operando a lÃartista
chÃa lÃabito de lÃarte ha man che trema.
Perà se Ãl caldo amor la chiara vista de la prima virtË dispone e segna,
tutta la perfezion quivi sÃacquista.
Cosà fu fatta gi⡠la terra degna
di tutta lÃanimal perfezÃone;
cosà fu fatta la Vergine pregna;
sà chÃio commendo tua oppinÃone,
che lÃumana natura mai non fue
nà fia qual fu in quelle due persone.
Or sÃià non procedesse avanti piËe, ëDunque, come costui fu sanza pare?Ã
comincerebber le parole tue.
Ma perchà paia ben cià che non pare, pensa chi era, e la cagion che Ãl mosse, quando fu detto ìChiediî, a dimandare.
Non ho parlato sÃ, che tu non posse
ben veder chÃel fu re, che chiese senno accià che re sufficÃente fosse;
non per sapere il numero in che enno
li motor di qua sË, o se necesse
con contingente mai necesse fenno;
non si est dare primum motum esse,
o se del mezzo cerchio far si puote trÃangol sà chÃun retto non avesse.
Onde, se cià chÃio dissi e questo note, regal prudenza à quel vedere impari
in che lo stral di mia intenzion percuote;
e se al ìsurseî drizzi li occhi chiari, vedrai aver solamente respetto
ai regi, che son molti, e à buon son rari.
Con questa distinzion prendi Ãl mio detto; e cosà puote star con quel che credi
del primo padre e del nostro Diletto.
E questo ti sia sempre piombo aà piedi, per farti mover lento comà uom lasso
e al sà e al no che tu non vedi:
chà quelli à tra li stolti bene a basso, che sanza distinzione afferma e nega
ne lÃun cosà come ne lÃaltro passo;
perchà elli Ãncontra che piË volte piega lÃoppinÃon corrente in falsa parte,
e poi lÃaffetto lÃintelletto lega.
Vie piË che Ãndarno da riva si parte, perchà non torna tal qual eà si move,
chi pesca per lo vero e non ha lÃarte.
E di cià sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso e Brisso e molti, li quali andaro e non sapÃan dove;
sà fà Sabellio e Arrio e quelli stolti che furon come spade a le Scritture
in render torti li diritti volti.
Non sien le genti, ancor, troppo sicure a giudicar, sà come quei che stima
le biade in campo pria che sien mature;
chÃià ho veduto tutto Ãl verno prima lo prun mostrarsi rigido e feroce,
poscia portar la rosa in su la cima;
e legno vidi giâ¡ dritto e veloce
correr lo mar per tutto suo cammino, perire al fine a lÃintrar de la foce.
Non creda donna Berta e ser Martino,
per vedere un furare, altro offerere, vederli dentro al consiglio divino;
chà quel puà surgere, e quel puà cadereª.
Paradiso â Canto XIV
Dal centro al cerchio, e sà dal cerchio al centro movesi lÃacqua in un ritondo vaso,
secondo chÃÃ percosso fuori o dentro:
ne la mia mente fà sËbito caso
questo chÃio dico, sà come si tacque la glorÃosa vita di Tommaso,
per la similitudine che nacque
del suo parlare e di quel di Beatrice, a cui sà cominciar, dopo lui, piacque:
´A costui fa mestieri, e nol vi dice nà con la voce nà pensando ancora,
dÃun altro vero andare a la radice.
Diteli se la luce onde sÃinfiora
vostra sustanza, rimarrâ¡ con voi
etternalmente sà comà ellà à ora;
e se rimane, dite come, poi
che sarete visibili rifatti,
esser porâ¡ chÃal veder non vi nÃiª.
Come, da piË letizia pinti e tratti, a la fÃata quei che vanno a rota
levan la voce e rallegrano li atti,
cosÃ, a lÃorazion pronta e divota,
li santi cerchi mostrar nova gioia
nel torneare e ne la mira nota.
Qual si lamenta perchà qui si moia
per viver colâ¡ sË, non vide quive lo refrigerio de lÃetterna ploia.
Quellà uno e due e tre che sempre vive e regna sempre in tre e Ãn due e Ãn uno, non circunscritto, e tutto circunscrive,
tre volte era cantato da ciascuno
di quelli spirti con tal melodia,
chÃad ogne merto saria giusto muno.
E io udià ne la luce piË dia
del minor cerchio una voce modesta, forse qual fu da lÃangelo a Maria,
risponder: ´Quanto fia lunga la festa di paradiso, tanto il nostro amore
si raggerâ¡ dintorno cotal vesta.
La sua chiarezza sÃguita lÃardore;
lÃardor la visÃone, e quella à tanta, quantà ha di grazia sovra suo valore.
Come la carne glorÃosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
piË grata fia per esser tutta quanta;
per che sÃaccrescerâ¡ cià che ne dona di grat¸ito lume il sommo bene,
lume chÃa lui veder ne condiziona;
onde la visÃon crescer convene,
crescer lÃardor che di quella sÃaccende, crescer lo raggio che da esso vene.
Ma sà come carbon che fiamma rende,
e per vivo candor quella soverchia, sà che la sua parvenza si difende;
cosà questo folgÃr che giâ¡ ne cerchia fia vinto in apparenza da la carne
che tutto dà la terra ricoperchia;
nà potr⡠tanta luce affaticarne:
chà li organi del corpo saran forti a tutto cià che potr⡠dilettarneª.
Tanto mi parver sËbiti e accorti
e lÃuno e lÃaltro coro a dicer ´Amme!ª, che ben mostrar disio dÃi corpi morti:
forse non pur per lor, ma per le mamme, per li padri e per li altri che fuor cari anzi che fosser sempiterne fiamme.
Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
nascere un lustro sopra quel che vÃera, per guisa dÃorizzonte che rischiari.
E sà come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nove parvenze, sà che la vista pare e non par vera,
parvemi là novelle sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro di fuor da lÃaltre due circunferenze.
Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
come si fece sËbito e candente
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
Ma BÃatrice sà bella e ridente
mi si mostrÃ, che tra quelle vedute si vuol lasciar che non seguir la mente.
Quindi ripreser li occhi miei virtute a rilevarsi; e vidimi translato
sol con mia donna in piË alta salute.
Ben mÃaccorsà io chÃio era piË levato, per lÃaffocato riso de la stella,
che mi parea piË roggio che lÃusato.
Con tutto Ãl core e con quella favella chÃÃ una in tutti, a Dio feci olocausto, qual conveniesi a la grazia novella.
E non erà anco del mio petto essausto lÃardor del sacrificio, chÃio conobbi
esso litare stato accetto e fausto;
chà con tanto lucore e tanto robbi
mÃapparvero splendor dentro a due raggi, chÃio dissi: ´O ElÃÃs che sà li addobbi!ª.
Come distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra à poli del mondo Galassia sÃ, che fa dubbiar ben saggi;
sà costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo Ãngegno; chà quella croce lampeggiava Cristo,
sà chÃio non so trovare essempro degno;
ma chi prende sua croce e segue Cristo, ancor mi scuserâ¡ di quel chÃio lasso, vedendo in quellà albor balenar Cristo.
Di corno in corno e tra la cima e Ãl basso si movien lumi, scintillando forte
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
cosà si veggion qui diritte e torte, veloci e tarde, rinovando vista,
le minuzie dÃi corpi, lunghe e corte,
moversi per lo raggio onde si lista
talvolta lÃombra che, per sua difesa, la gente con ingegno e arte acquista.
E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non à intesa,
cosà daà lumi che là mÃapparinno
sÃaccogliea per la croce una melode che mi rapiva, sanza intender lÃinno.
Ben mÃaccorsà io chÃelli era dÃalte lode, perà chÃa me venÃa ´Resurgiª e ´Vinciª come a colui che non intende e ode.
Åo mÃinnamorava tanto quinci,
che Ãnfino a là non fu alcuna cosa che mi legasse con sà dolci vinci.
Forse la mia parola par troppo osa,
posponendo il piacer de li occhi belli, neà quai mirando mio disio ha posa;
ma chi sÃavvede che i vivi suggelli
dÃogne bellezza piË fanno piË suso, e chÃio non mÃera là rivolto a quelli,
escusar puommi di quel chÃio mÃaccuso per escusarmi, e vedermi dir vero:
chà Ãl piacer santo non à qui dischiuso,
perchà si fa, montando, piË sincero.
Paradiso â Canto XV
Benigna volontade in che si liqua
sempre lÃamor che drittamente spira, come cupiditâ¡ fa ne la iniqua,
silenzio puose a quella dolce lira,
e fece quÃetar le sante corde
che la destra del cielo allenta e tira.
Come saranno aà giusti preghi sorde
quelle sustanze che, per darmi voglia chÃio le pregassi, a tacer fur concorde?
Bene à che sanza termine si doglia
chi, per amor di cosa che non duri
etternalmente, quello amor si spoglia.
Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or sËbito foco, movendo li occhi che stavan sicuri,
e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ondà eà sÃaccende nulla sen perde, ed esso dura poco:
tale dal corno che Ãn destro si stende a pià di quella croce corse un astro
de la costellazion che là resplende;
nà si partà la gemma dal suo nastro, ma per la lista radÃal trascorse,
che parve foco dietro ad alabastro.
SÃ pÃa lÃombra dÃAnchise si porse, se fede merta nostra maggior musa,
quando in Eliso del figlio sÃaccorse.
´O sanguis meus, o superinfusa
gratÃa DeÃ, sicut tibi cui
bis unquam celi ian¸a reclusa?ª.
Cosà quel lume: ondà io mÃattesi a lui; poscia rivolsi a la mia donna il viso,
e quinci e quindi stupefatto fui;
chà dentro a li occhi suoi ardeva un riso tal, chÃio pensai coà miei toccar lo fondo de la mia gloria e del mio paradiso.
Indi, a udire e a veder giocondo,
giunse lo spirto al suo principio cose, chÃio non lo Ãntesi, sà parlà profondo;
nà per elezÃon mi si nascose,
ma per necessitâ¡, chà Ãl suo concetto al segno dÃi mortal si soprapuose.
E quando lÃarco de lÃardente affetto fu sà sfogato, che Ãl parlar discese
inverà lo segno del nostro intelletto,
la prima cosa che per me sÃintese,
´Benedetto sia tuª, fu, ´trino e uno, che nel mio seme seà tanto cortese!ª.
E seguÃ: ´Grato e lontano digiuno,
tratto leggendo del magno volume
duà non si muta mai bianco nà bruno,
solvuto hai, figlio, dentro a questo lume in chÃio ti parlo, mercà di colei
chÃa lÃalto volo ti vestà le piume.
Tu credi che a me tuo pensier mei
da quel chÃà primo, cosà come raia da lÃun, se si conosce, il cinque e Ãl sei;
e perà chÃio mi sia e perchà io paia piË gaudÃoso a te, non mi domandi,
che alcun altro in questa turba gaia.
Tu credi Ãl vero; chà i minori e à grandi di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi;
ma perchà Ãl sacro amore in che io veglio con perpet¸a vista e che mÃasseta
di dolce disÃar, sÃadempia meglio,
la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volontâ¡, suoni Ãl disio, a che la mia risposta à giâ¡ decreta!ª.
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio pria chÃio parlassi, e arrisemi un cenno che fece crescer lÃali al voler mio.
Poi cominciai cosÃ: ´LÃaffetto e Ãl senno, come la prima equalitâ¡ vÃapparse,
dÃun peso per ciascun di voi si fenno,
perà che Ãl sol che vÃallumà e arse, col caldo e con la luce à sà iguali,
che tutte simiglianze sono scarse.
Ma voglia e argomento neà mortali,
per la cagion chÃa voi à manifesta, diversamente son pennuti in ali;
ondà io, che son mortal, mi sento in questa disagguaglianza, e perà non ringrazio
se non col core a la paterna festa.
Ben supplico io a te, vivo topazio
che questa gioia prezÃosa ingemmi, perchà mi facci del tuo nome sazioª.
´O fronda mia in che io compiacemmi
pur aspettando, io fui la tua radiceª: cotal principio, rispondendo, femmi.
Poscia mi disse: ´Quel da cui si dice tua cognazione e che centà anni e piËe girato ha Ãl monte in la prima cornice,
mio figlio fu e tuo bisavol fue:
ben si convien che la lunga fatica
tu li raccorci con lÃopere tue.
Fiorenza dentro da la cerchia antica, ondà ella toglie ancora e terza e nona, si stava in pace, sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder piË che la persona.
Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, che Ãl tempo e la dote non fuggien quinci e quindi la misura.
Non avea case di famiglia vÃte;
non vÃera giunto ancor Sardanapalo a mostrar cià che Ãn camera si puote.
Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, comà à vinto nel montar sË, cosà sarâ¡ nel calo.
Bellincion Berti vidà io andar cinto di cuoio e dÃosso, e venir da lo specchio la donna sua sanza Ãl viso dipinto;
e vidi quel dÃi Nerli e quel del Vecchio esser contenti a la pelle scoperta,
e le sue donne al fuso e al pennecchio.
Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta.
LÃuna vegghiava a studio de la culla, e, consolando, usava lÃidÃoma
che prima i padri e le madri trastulla;
lÃaltra, traendo a la rocca la chioma, favoleggiava con la sua famiglia
dÃi Troiani, di Fiesole e di Roma.
Saria tenuta allor tal maraviglia
una Cianghella, un Lapo Salterello, qual or saria Cincinnato e Corniglia.
A cosà riposato, a cosà bello
viver di cittadini, a cosà fida
cittadinanza, a cosà dolce ostello,
Maria mi diÃ, chiamata in alte grida; e ne lÃantico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.
Moronto fu mio frate ed Eliseo;
mia donna venne a me di val di Pado, e quindi il sopranome tuo si feo.
Poi seguitai lo Ãmperador Currado;
ed el mi cinse de la sua milizia,
tanto per bene ovrar li venni in grado.
Dietro li andai incontro a la nequizia di quella legge il cui popolo usurpa,
per colpa dÃi pastor, vostra giustizia.
Quivi fuà io da quella gente turpa
disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor moltà anime deturpa;
e venni dal martiro a questa paceª.
Paradiso â Canto XVI
O poca nostra nobiltâ¡ di sangue,
se glorÃar di te la gente fai
qua giË dove lÃaffetto nostro langue,
mirabil cosa non mi sarâ¡ mai:
chà l⡠dove appetito non si torce, dico nel cielo, io me ne gloriai.
Ben seà tu manto che tosto raccorce: sà che, se non sÃappon di dà in die,
lo tempo va dintorno con le force.