la virtË chÃebbe la man dÃAnaniaª.
Io dissi: ´Al suo piacere e tosto e tardo vegna remedio a li occhi, che fuor porte quandà ella entrà col foco ondà io semprà ardo.
Lo ben che fa contenta questa corte,
Alfa e O Ã di quanta scrittura
mi legge Amore o lievemente o forteª.
Quella medesma voce che paura
tolta mÃavea del sËbito abbarbaglio, di ragionare ancor mi mise in cura;
e disse: ´Certo a piË angusto vaglio ti conviene schiarar: dicer convienti
chi drizzà lÃarco tuo a tal berzaglioª.
E io: ´Per filosofici argomenti
e per autoritâ¡ che quinci scende
cotale amor convien che in me si Ãmprenti:
chà Ãl bene, in quanto ben, come sÃintende, cosà accende amore, e tanto maggio
quanto piË di bontate in sà comprende.
Dunque a lÃessenza ovà à tanto avvantaggio, che ciascun ben che fuor di lei si trova altro non à chÃun lume di suo raggio,
piË che in altra convien che si mova la mente, amando, di ciascun che cerne
il vero in che si fonda questa prova.
Tal vero a lÃintelletto mÃo sterne
colui che mi dimostra il primo amore di tutte le sustanze sempiterne.
Sternel la voce del verace autore,
che dice a MoÃsÃ, di sà parlando: ëIo ti farà vedere ogne valoreÃ.
Sternilmi tu ancora, incominciando
lÃalto preconio che grida lÃarcano di qui lâ¡ giË sovra ogne altro bandoª.
E io udiÃ: ´Per intelletto umano
e per autoritadi a lui concorde
dÃi tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
Ma dà ancor se tu senti altre corde
tirarti verso lui, sà che tu suone con quanti denti questo amor ti mordeª.
Non fu latente la santa intenzione
de lÃaguglia di Cristo, anzi mÃaccorsi dove volea menar mia professione.
Perà ricominciai: ´Tutti quei morsi che posson far lo cor volgere a Dio,
a la mia caritate son concorsi:
chà lÃessere del mondo e lÃesser mio, la morte chÃel sostenne perchà io viva, e quel che spera ogne fedel comà io,
con la predetta conoscenza viva,
tratto mÃhanno del mar de lÃamor torto, e del diritto mÃhan posto a la riva.
Le fronde onde sÃinfronda tutto lÃorto de lÃortolano etterno, amà io cotanto
quanto da lui a lor di bene à portoª.
Sà comà io tacqui, un dolcissimo canto risonà per lo cielo, e la mia donna
dicea con li altri: ´Santo, santo, santo!ª.
E come a lume acuto si disonna
per lo spirto visivo che ricorre
a lo splendor che va di gonna in gonna,
e lo svegliato cià che vede aborre,
sà nescÃa à la sËbita vigilia
fin che la stimativa non soccorre;
cosà de li occhi miei ogne quisquilia fugà Beatrice col raggio dÃi suoi,
che rifulgea da piË di mille milia:
onde mei che dinanzi vidi poi;
e quasi stupefatto domandai
dÃun quarto lume chÃio vidi tra noi.
E la mia donna: ´Dentro da quei rai
vagheggia il suo fattor lÃanima prima che la prima virtË creasse maiª.
Come la fronda che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva per la propria virtË che la soblima,
fecà io in tanto in quantà ella diceva, stupendo, e poi mi rifece sicuro
un disio di parlare ondà Ão ardeva.
E cominciai: ´O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico a cui ciascuna sposa à figlia e nuro,
divoto quanto posso a te supplÃco
perchà mi parli: tu vedi mia voglia, e per udirti tosto non la dicoª.
Talvolta un animal coverto broglia,
sà che lÃaffetto convien che si paia per lo seguir che face a lui la Ãnvoglia;
e similmente lÃanima primaia
mi facea trasparer per la coverta
quantà ella a compiacermi venÃa gaia.
Indi spirÃ: ´Sanzà essermi proferta da te, la voglia tua discerno meglio
che tu qualunque cosa tÃÃ piË certa;
perchà io la veggio nel verace speglio che fa di sà pareglio a lÃaltre cose,
e nulla face lui di sà pareglio.
Tu vuogli udir quantà à che Dio mi puose ne lÃeccelso giardino, ove costei
a cosà lunga scala ti dispuose,
e quanto fu diletto a li occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno, e lÃidÃoma chÃusai e che fei.
Or, figluol mio, non il gustar del legno fu per sà la cagion di tanto essilio,
ma solamente il trapassar del segno.
Quindi onde mosse tua donna Virgilio, quattromilia trecento e due volumi
di sol desiderai questo concilio;
e vidi lui tornare a tuttà i lumi
de la sua strada novecento trenta
fÃate, mentre chÃÃo in terra fuÃmi.
La lingua chÃio parlai fu tutta spenta innanzi che a lÃovra inconsummabile
fosse la gente di NembrÃt attenta:
chà nullo effetto mai razÃonabile,
per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile.
Opera naturale à chÃuom favella;
ma cosà o cosÃ, natura lascia
poi fare a voi secondo che vÃabbella.
Pria chÃià scendessi a lÃinfernale ambascia, I sÃappellava in terra il sommo bene
onde vien la letizia che mi fascia;
e El si chiamà poi: e cià convene,
chà lÃuso dÃi mortali à come fronda in ramo, che sen va e altra vene.
Nel monte che si leva piË da lÃonda, fuà io, con vita pura e disonesta,
da la primà ora a quella che seconda,
come Ãl sol muta quadra, lÃora sestaª.
Paradiso â Canto XXVII
ëAl Padre, al Figlio, a lo Spirito SantoÃ, cominciÃ, ëgloria!Ã, tutto Ãl paradiso, sà che mÃinebrÃava il dolce canto.
Cià chÃio vedeva mi sembiava un riso de lÃuniverso; per che mia ebbrezza
intrava per lÃudire e per lo viso.
Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
oh vita intÃgra dÃamore e di pace! oh sanza brama sicura ricchezza!
Dinanzi a li occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne
incomincià a farsi piË vivace,
e tal ne la sembianza sua divenne,
qual diverrebbe Iove, sÃelli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne.
La provedenza, che quivi comparte
vice e officio, nel beato coro
silenzio posto avea da ogne parte,
quandà Ão udiÃ: ´Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, chÃ, dicendà io,
vedrai trascolorar tutti costoro.
Quelli chÃusurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio, che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio,
fattà ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza; onde Ãl perverso che cadde di qua sË, lâ¡ giË si placaª.
Di quel color che per lo sole avverso nube dipigne da sera e da mane,
vidà Ão allora tutto Ãl ciel cosperso.
E come donna onesta che permane
di sà sicura, e per lÃaltrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane,
cosà Beatrice trasmutà sembianza;
e tale eclissi credo che Ãn ciel fue quando patà la supprema possanza.
Poi procedetter le parole sue
con voce tanto da sà trasmutata,
che la sembianza non si mutà piËe:
´Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto dÃoro usata;
ma per acquisto dÃesto viver lieto
e Sisto e PÃo e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion chÃa destra mano dÃi nostri successor parte sedesse,
parte da lÃaltra del popol cristiano;
nà che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse;
nà chÃio fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ondà io sovente arrosso e disfavillo.
In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua sË per tutti i paschi: o difesa di Dio, perchà pur giaci?
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
sÃapparecchian di bere: o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi!
Ma lÃalta provedenza, che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo,
soccorr⡠tosto, sà comà io concipio;
e tu, figliuol, che per lo mortal pondo ancor giË tornerai, apri la bocca,
e non asconder quel chÃio non ascondoª.
SÃ come di vapor gelati fiocca
in giuso lÃaere nostro, quando Ãl corno de la capra del ciel col sol si tocca,
in sË vidà io cosà lÃetera addorno farsi e fioccar di vapor trÃunfanti
che fatto avien con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, e seguà fin che Ãl mezzo, per lo molto, li tolse il trapassar del piË avanti.
Onde la donna, che mi vide assolto
de lÃattendere in sË, mi disse: ´Adima il viso e guarda come tu seà vÃltoª.
Da lÃora chÃÃo avea guardato prima ià vidi mosso me per tutto lÃarco
che fa dal mezzo al fine il primo clima;
sà chÃio vedea di lâ¡ da Gade il varco folle dÃUlisse, e di qua presso il lito nel qual si fece Europa dolce carco.
E piË mi fora discoverto il sito
di questa aiuola; ma Ãl sol procedea sotto i mieà piedi un segno e piË partito.
La mente innamorata, che donnea
con la mia donna sempre, di ridure
ad essa li occhi piË che mai ardea;
e se natura o arte fà pasture
da pigliare occhi, per aver la mente, in carne umana o ne le sue pitture,
tutte adunate, parrebber nÃente
verà lo piacer divin che mi refulse, quando mi volsi al suo viso ridente.
E la virtË che lo sguardo mÃindulse, del bel nido di Leda mi divelse,
e nel ciel velocissimo mÃimpulse.
Le parti sue vivissime ed eccelse
sà uniforme son, chÃià non so dire qual BÃatrice per loco mi scelse.
Ma ella, che vedÃa Ãl mio disire,
incominciÃ, ridendo tanto lieta,
che Dio parea nel suo volto gioire:
´La natura del mondo, che quÃeta
il mezzo e tutto lÃaltro intorno move, quinci comincia come da sua meta;
e questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che sÃaccende lÃamor che Ãl volge e la virtË chÃei piove.
Luce e amor dÃun cerchio lui comprende, sà come questo li altri; e quel precinto colui che Ãl cinge solamente intende.
Non à suo moto per altro distinto,
ma li altri son mensurati da questo, sà come diece da mezzo e da quinto;
e come il tempo tegna in cotal testo
le sue radici e ne li altri le fronde, omai a te puà esser manifesto.
Oh cupidigia che i mortali affonde
sà sotto te, che nessuno ha podere di trarre li occhi fuor de le tue onde!
Ben fiorisce ne li uomini il volere;
ma la pioggia contin¸a converte
in bozzacchioni le sosine vere.
Fede e innocenza son reperte
solo neà parvoletti; poi ciascuna
pria fugge che le guance sian coperte.
Tale, balbuzÃendo ancor, digiuna,
che poi divora, con la lingua sciolta, qualunque cibo per qualunque luna;
e tal, balbuzÃendo, ama e ascolta
la madre sua, che, con loquela intera, disÃa poi di vederla sepolta.
Cosà si fa la pelle bianca nera
nel primo aspetto de la bella figlia di quel chÃapporta mane e lascia sera.
Tu, perchà non ti facci maraviglia,
pensa che Ãn terra non à chi governi; onde sà svÃa lÃumana famiglia.
Ma prima che gennaio tutto si sverni
per la centesma chÃà lâ¡ giË negletta, raggeran sà questi cerchi superni,
che la fortuna che tanto sÃaspetta,
le poppe volger⡠uà son le prore, sà che la classe correr⡠diretta;
e vero frutto verrâ¡ dopo Ãl fioreª.
Paradiso â Canto XXVIII
Poscia che Ãncontro a la vita presente dÃi miseri mortali aperse Ãl vero
quella che Ãmparadisa la mia mente,
come in lo specchio fiamma di doppiero vede colui che se nÃalluma retro,
prima che lÃabbia in vista o in pensiero,
e sà rivolge per veder se Ãl vetro
li dice il vero, e vede chÃel sÃaccorda con esso come nota con suo metro;
cosà la mia memoria si ricorda
chÃio feci riguardando neà belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda.
E comà io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da cià che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben sÃadocchi,
un punto vidi che raggiava lume
acuto sÃ, che Ãl viso chÃelli affoca chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci piË poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collÃca.
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che Ãl dipigne
quando Ãl vapor che Ãl porta piË Ã spesso,
distante intorno al punto un cerchio dÃigne si girava sà ratto, chÃavria vinto
quel moto che piË tosto il mondo cigne;
e questo era dÃun altro circumcinto, e quel dal terzo, e Ãl terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo sà sparto
giâ¡ di larghezza, che Ãl messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto.
Cosà lÃottavo e Ãl nono; e chiascheduno piË tardo si movea, secondo chÃera
in numero distante piË da lÃuno;
e quello avea la fiamma piË sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, perà che piË di lei sÃinvera.
La donna mia, che mi vedÃa in cura
forte sospeso, disse: ´Da quel punto depende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che piË li à congiunto; e sappi che Ãl suo muovere à sà tosto per lÃaffocato amore ondà elli à puntoª.
E io a lei: ´Se Ãl mondo fosse posto con lÃordine chÃio veggio in quelle rote, sazio mÃavrebbe cià che mÃà proposto;
ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto piË divine,
quantà elle son dal centro piË remote.
Onde, se Ãl mio disir dee aver fine
in questo miro e angelico templo
che solo amore e luce ha per confine,
udir convienmi ancor come lÃessemplo e lÃessemplare non vanno dÃun modo,
chà io per me indarno a cià contemploª.
´Se li tuoi diti non sono a tal nodo sufficÃenti, non à maraviglia:
tanto, per non tentare, à fatto sodo!ª.
Cosà la donna mia; poi disse: ´Piglia quel chÃio ti dicerÃ, se vuoà saziarti; e intorno da esso tÃassottiglia.
Li cerchi corporai sono ampi e arti
secondo il piË e Ãl men de la virtute che si distende per tutte lor parti.
Maggior bontâ¡ vuol far maggior salute; maggior salute maggior corpo cape,
sÃelli ha le parti igualmente compiute.
Dunque costui che tutto quanto rape
lÃaltro universo seco, corrisponde al cerchio che piË ama e che piË sape:
per che, se tu a la virtË circonde
la tua misura, non a la parvenza
de le sustanze che tÃappaion tonde,
tu vederai mirabil consequenza
di maggio a piË e di minore a meno, in ciascun cielo, a s¸a intelligenzaª.
Come rimane splendido e sereno
lÃemisperio de lÃaere, quando soffia Borea da quella guancia ondà à piË leno,
per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, sà che Ãl ciel ne ride con le bellezze dÃogne sua paroffia;
cosà fecÃÃo, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro, e come stella in cielo il ver si vide.
E poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla
che bolle, come i cerchi sfavillaro.
LÃincendio suo seguiva ogne scintilla; ed eran tante, che Ãl numero loro
piË che Ãl doppiar de li scacchi sÃinmilla.
Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene a li ubi, e terr⡠sempre, neà quai sempre fuoro.
E quella che vedÃa i pensier dubi
ne la mia mente, disse: ´I cerchi primi tÃhanno mostrato Serafi e Cherubi.
Cosà veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno; e posson quanto a veder son soblimi.
Quelli altri amori che Ãntorno li vonno, si chiaman Troni del divino aspetto,
per che Ãl primo ternaro terminonno;
e dei saper che tutti hanno diletto
quanto la sua veduta si profonda
nel vero in che si queta ogne intelletto.
Quinci si puà veder come si fonda
lÃesser beato ne lÃatto che vede, non in quel chÃama, che poscia seconda;
e del vedere à misura mercede,
che grazia partorisce e buona voglia: cosà di grado in grado si procede.
LÃaltro ternaro, che cosà germoglia in questa primavera sempiterna
che notturno ArÃete non dispoglia,
perpet¸alemente ëOsannaà sberna
con tre melode, che suonano in tree ordini di letizia onde sÃinterna.
In essa gerarcia son lÃaltre dee:
prima Dominazioni, e poi Virtudi;
lÃordine terzo di Podestadi Ãe.
Poscia neà due penultimi tripudi
Principati e Arcangeli si girano;
lÃultimo à tutto dÃAngelici ludi.
Questi ordini di sË tutti sÃammirano, e di giË vincon sÃ, che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano.
E DÃonisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise, che li nomà e distinse comà io.
Ma Gregorio da lui poi si divise;
onde, sà tosto come li occhi aperse in questo ciel, di sà medesmo rise.
E se tanto secreto ver proferse
mortale in terra, non voglio chÃammiri: chà chi Ãl vide qua sË gliel discoperse
con altro assai del ver di questi giriª.
Paradiso â Canto XXIX
Quando ambedue li figli di Latona,
coperti del Montone e de la Libra,
fanno de lÃorizzonte insieme zona,
quantà à dal punto che Ãl cenÃt inlibra infin che lÃuno e lÃaltro da quel cinto, cambiando lÃemisperio, si dilibra,
tanto, col volto di riso dipinto,
si tacque BÃatrice, riguardando
fiso nel punto che mÃavÃa vinto.
Poi cominciÃ: ´Io dico, e non dimando, quel che tu vuoli udir, perchà io lÃho visto lâ¡ Ãve sÃappunta ogne ubi e ogne quando.
Non per aver a sà di bene acquisto,
chÃesser non puÃ, ma perchà suo splendore potesse, risplendendo, dir ìSubsistoî,
in sua etternitâ¡ di tempo fore,
fuor dÃogne altro comprender, come i piacque, sÃaperse in nuovi amor lÃetterno amore.
NÃ prima quasi torpente si giacque;
chà nà prima nà poscia procedette lo discorrer di Dio sovra questà acque.
Forma e materia, congiunte e purette, usciro ad esser che non avia fallo,
come dÃarco tricordo tre saette.
E come in vetro, in ambra o in cristallo raggio resplende sÃ, che dal venire
a lÃesser tutto non à intervallo,
cosà Ãl triforme effetto del suo sire ne lÃesser suo raggià insieme tutto
sanza distinzÃone in essordire.
Concreato fu ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto;
pura potenza tenne la parte ima;
nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che giâ¡ mai non si divima.
Ieronimo vi scrisse lungo tratto
di secoli de li angeli creati
anzi che lÃaltro mondo fosse fatto;
ma questo vero à scritto in molti lati da li scrittor de lo Spirito Santo,
e tu te nÃavvedrai se bene agguati;
e anche la ragione il vede alquanto,
che non concederebbe che à motori
sanza sua perfezion fosser cotanto.
Or sai tu dove e quando questi amori
furon creati e come: sà che spenti nel tuo disÃo giâ¡ son tre ardori.
NÃ giugneriesi, numerando, al venti
sà tosto, come de li angeli parte
turbà il suggetto dÃi vostri alimenti.
LÃaltra rimase, e comincià questà arte che tu discerni, con tanto diletto,
che mai da circ¸ir non si diparte.
Principio del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto.
Quelli che vedi qui furon modesti
a riconoscer sà da la bontate
che li avea fatti a tanto intender presti:
per che le viste lor furo essaltate
con grazia illuminante e con lor merto, si cÃhanno ferma e piena volontate;
e non voglio che dubbi, ma sia certo, che ricever la grazia à meritorio
secondo che lÃaffetto lÃÃ aperto.
Omai dintorno a questo consistorio
puoi contemplare assai, se le parole mie son ricolte, sanzà altro aiutorio.
Ma perchà Ãn terra per le vostre scole si legge che lÃangelica natura
à tal, che Ãntende e si ricorda e vole,
ancor dirÃ, perchà tu veggi pura
la veritâ¡ che lâ¡ giË si confonde, equivocando in sà fatta lettura.
Queste sustanze, poi che fur gioconde de la faccia di Dio, non volser viso
da essa, da cui nulla si nasconde:
perà non hanno vedere interciso
da novo obietto, e perà non bisogna rememorar per concetto diviso;
sà che lâ¡ giË, non dormendo, si sogna, credendo e non credendo dicer vero;
ma ne lÃuno à piË colpa e piË vergogna.
Voi non andate giË per un sentiero
filosofando: tanto vi trasporta
lÃamor de lÃapparenza e Ãl suo pensiero!
E ancor questo qua sË si comporta
con men disdegno che quando à posposta la divina Scrittura o quando à torta.
Non vi si pensa quanto sangue costa
seminarla nel mondo e quanto piace
chi umilmente con essa sÃaccosta.
Per apparer ciascun sÃingegna e face sue invenzioni; e quelle son trascorse
daà predicanti e Ãl Vangelio si tace.
Un dice che la luna si ritorse
ne la passion di Cristo e sÃinterpuose, per che Ãl lume del sol giË non si porse;
e mente, chà la luce si nascose
da sÃ: perà a li Spani e a lÃIndi come aà Giudei tale eclissi rispuose.
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
quante sà fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi:
sà che le pecorelle, che non sanno,
tornan del pasco pasciute di vento, e non le scusa non veder lo danno.
Non disse Cristo al suo primo convento: ëAndate, e predicate al mondo cianceÃ; ma diede lor verace fondamento;
e quel tanto sonà ne le sue guance,
sà chÃa pugnar per accender la fede de lÃEvangelio fero scudo e lance.
Ora si va con motti e con iscede
a predicare, e pur che ben si rida, gonfia il cappuccio e piË non si richiede.
Ma tale uccel nel becchetto sÃannida, che se Ãl vulgo il vedesse, vederebbe
la perdonanza di chÃel si confida:
per cui tanta stoltezza in terra crebbe, che, sanza prova dÃalcun testimonio,
ad ogne promession si correrebbe.
Di questo ingrassa il porco santà Antonio, e altri assai che sono ancor piË porci, pagando di moneta sanza conio.
Ma perchà siam digressi assai, ritorci li occhi oramai verso la dritta strada,
sà che la via col tempo si raccorci.
Questa natura sà oltre sÃingrada
in numero, che mai non fu loquela
nà concetto mortal che tanto vada;
e se tu guardi quel che si revela
per DanÃel, vedrai che Ãn sue migliaia determinato numero si cela.
La prima luce, che tutta la raia,
per tanti modi in essa si recepe,
quanti son li splendori a chi sÃappaia.
Onde, perà che a lÃatto che concepe segue lÃaffetto, dÃamar la dolcezza
diversamente in essa ferve e tepe.
Vedi lÃeccelso omai e la larghezza
de lÃetterno valor, poscia che tanti speculi fatti sÃha in che si spezza,
uno manendo in sà come davantiª.
Paradiso â Canto XXX
Forse semilia miglia di lontano
ci ferve lÃora sesta, e questo mondo china giâ¡ lÃombra quasi al letto piano,
quando Ãl mezzo del cielo, a noi profondo, comincia a farsi tal, chÃalcuna stella
perde il parere infino a questo fondo;
e come vien la chiarissima ancella
del sol piË oltre, cosà Ãl ciel si chiude di vista in vista infino a la piË bella.
Non altrimenti il trÃunfo che lude
sempre dintorno al punto che mi vinse, parendo inchiuso da quel chÃelli Ãnchiude,
a poco a poco al mio veder si stinse: per che tornar con li occhi a BÃatrice
nulla vedere e amor mi costrinse.
Se quanto infino a qui di lei si dice fosse conchiuso tutto in una loda,
poca sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza chÃio vidi si trasmoda
non pur di lâ¡ da noi, ma certo io credo che solo il suo fattor tutta la goda.
Da questo passo vinto mi concedo
piË che giâ¡ mai da punto di suo tema soprato fosse comico o tragedo:
chÃ, come sole in viso che piË trema, cosà lo rimembrar del dolce riso
la mente mia da me medesmo scema.
Dal primo giorno chÃià vidi il suo viso in questa vita, infino a questa vista,
non mÃÃ il seguire al mio cantar preciso;
ma or convien che mio seguir desista
piË dietro a sua bellezza, poetando, come a lÃultimo suo ciascuno artista.
Cotal qual io lascio a maggior bando
che quel de la mia tuba, che deduce lÃard¸a sua matera terminando,
con atto e voce di spedito duce
ricominciÃ: ´Noi siamo usciti fore del maggior corpo al ciel chÃà pura luce:
luce intellett¸al, piena dÃamore;
amor di vero ben, pien di letizia;
letizia che trascende ogne dolzore.
Qui vederai lÃuna e lÃaltra milizia di paradiso, e lÃuna in quelli aspetti
che tu vedrai a lÃultima giustiziaª.
Come sËbito lampo che discetti
li spiriti visivi, sà che priva
da lÃatto lÃocchio di piË forti obietti,
cosà mi circunfulse luce viva,
e lasciommi fasciato di tal velo
del suo fulgor, che nulla mÃappariva.
´Sempre lÃamor che queta questo cielo accoglie in sà con sà fatta salute,
per far disposto a sua fiamma il candeloª.
Non fur piË tosto dentro a me venute queste parole brievi, chÃio compresi
me sormontar di soprà a mia virtute;
e di novella vista mi raccesi
tale, che nulla luce à tanto mera, che li occhi miei non si fosser difesi;
e vidi lume in forma di rivera
fulvido di fulgore, intra due rive
dipinte di mirabil primavera.
Di tal fiumana uscian faville vive,
e dÃogne parte si mettien neà fiori, quasi rubin che oro circunscrive;
poi, come inebrÃate da li odori,
riprofondavan sà nel miro gurge,
e sÃuna intrava, unÃaltra nÃuscia fori.
´LÃalto disio che mo tÃinfiamma e urge, dÃaver notizia di cià che tu vei,
tanto mi piace piË quanto piË turge;
ma di questà acqua convien che tu bei prima che tanta sete in te si saziª:
cosà mi disse il sol de li occhi miei.
Anche soggiunse: ´Il fiume e li topazi chÃentrano ed escono e Ãl rider de lÃerbe son di lor vero umbriferi prefazi.
Non che da sà sian queste cose acerbe; ma à difetto da la parte tua,
che non hai viste ancor tanto superbeª.
Non à fantin che sà sËbito rua
col volto verso il latte, se si svegli molto tardato da lÃusanza sua,
come fecà io, per far migliori spegli ancor de li occhi, chinandomi a lÃonda
che si deriva perchà vi sÃimmegli;
e sà come di lei bevve la gronda
de le palpebre mie, cosà mi parve
di sua lunghezza divenuta tonda.
Poi, come gente stata sotto larve,
che pare altro che prima, se si sveste la sembianza non s¸a in che disparve,
cosà mi si cambiaro in maggior feste li fiori e le faville, sà chÃio vidi
ambo le corti del ciel manifeste.
O isplendor di Dio, per cuà io vidi
lÃalto trÃunfo del regno verace,
dammi virtË a dir comà Ão il vidi!
Lume à lâ¡ sË che visibile face
lo creatore a quella creatura
che solo in lui vedere ha la sua pace.
EÃ si distende in circular figura,
in tanto che la sua circunferenza
sarebbe al sol troppo larga cintura.
Fassi di raggio tutta sua parvenza
reflesso al sommo del mobile primo, che prende quindi vivere e potenza.
E come clivo in acqua di suo imo
si specchia, quasi per vedersi addorno, quando à nel verde e neà fioretti opimo,
sÃ, soprastando al lume intorno intorno, vidi specchiarsi in piË di mille soglie quanto di noi lâ¡ sË fatto ha ritorno.
E se lÃinfimo grado in sà raccoglie sà grande lume, quanta à la larghezza
di questa rosa ne lÃestreme foglie!
La vista mia ne lÃampio e ne lÃaltezza non si smarriva, ma tutto prendeva
il quanto e Ãl quale di quella allegrezza.
Presso e lontano, lÃ, nà pon nà leva: chà dove Dio sanza mezzo governa,
la legge natural nulla rileva.
Nel giallo de la rosa sempiterna,
che si digrada e dilata e redole
odor di lode al sol che sempre verna,
qual à colui che tace e dicer vole,
mi trasse BÃatrice, e disse: ´Mira quanto à Ãl convento de le bianche stole!
Vedi nostra citt⡠quantà ella gira; vedi li nostri scanni sà ripieni,
che poca gente piË ci si disira.
E Ãn quel gran seggio a che tu li occhi tieni per la corona che giâ¡ vÃÃ sË posta, prima che tu a queste nozze ceni,
sederâ¡ lÃalma, che fia giË agosta, de lÃalto Arrigo, chÃa drizzare Italia verrâ¡ in prima chÃella sia disposta.
La cieca cupidigia che vÃammalia
simili fatti vÃha al fantolino
che muor per fame e caccia via la balia.
E fia prefetto nel foro divino
allora tal, che palese e coverto
non anderâ¡ con lui per un cammino.
Ma poco poi sarâ¡ da Dio sofferto
nel santo officio; chÃel sarâ¡ detruso lâ¡ dove Simon mago à per suo merto,
e farâ¡ quel dÃAlagna intrar piË giusoª.
Paradiso â Canto XXXI
In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa;
ma lÃaltra, che volando vede e canta la gloria di colui che la Ãnnamora
e la bontâ¡ che la fece cotanta,
sà come schiera dÃape che sÃinfiora una fÃata e una si ritorna
lâ¡ dove suo laboro sÃinsapora,
nel gran fior discendeva che sÃaddorna di tante foglie, e quindi risaliva
lâ¡ dove Ãl s¸o amor sempre soggiorna.
Le facce tutte avean di fiamma viva
e lÃali dÃoro, e lÃaltro tanto bianco, che nulla neve a quel termine arriva.
Quando scendean nel fior, di banco in banco porgevan de la pace e de lÃardore
chÃelli acquistavan ventilando il fianco.
NÃ lÃinterporsi tra Ãl disopra e Ãl fiore di tanta moltitudine volante
impediva la vista e lo splendore:
chà la luce divina à penetrante
per lÃuniverso secondo chÃà degno, sà che nulla le puote essere ostante.
Questo sicuro e gaudÃoso regno,
frequente in gente antica e in novella, viso e amore avea tutto ad un segno.
O trina luce che Ãn unica stella
scintillando a lor vista, sà li appaga! guarda qua giuso a la nostra procella!
Se i barbari, venendo da tal plaga
che ciascun giorno dÃElice si cuopra, rotante col suo figlio ondà ella à vaga,
veggendo Roma e lÃard¸a sua opra,
stupefaciensi, quando Laterano
a le cose mortali andà di sopra;
Ão, che al divino da lÃumano,
a lÃetterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano,
di che stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e Ãl gaudio mi facea libito non udire e starmi muto.
E quasi peregrin che si ricrea
nel tempio del suo voto riguardando, e spera gi⡠ridir comà ello stea,
su per la viva luce passeggiando,
menava Ão li occhi per li gradi,
mo sË, mo giË e mo recirculando.
VedÃa visi a caritâ¡ s¸adi,
dÃaltrui lume fregiati e di suo riso, e atti ornati di tutte onestadi.
La forma general di paradiso
giâ¡ tutta mÃo sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato fiso;
e volgeami con voglia rÃaccesa
per domandar la mia donna di cose
di che la mente mia era sospesa.
Uno intendÃa, e altro mi rispuose:
credea veder Beatrice e vidi un sene vestito con le genti glorÃose.
Diffuso era per li occhi e per le gene di benigna letizia, in atto pio
quale a tenero padre si convene.
E ´Ovà à ella?ª, sËbito dissà io. Ondà elli: ´A terminar lo tuo disiro
mosse Beatrice me del loco mio;
e se riguardi sË nel terzo giro
dal sommo grado, tu la rivedrai
nel trono che suoi merti le sortiroª.
Sanza risponder, li occhi sË levai,
e vidi lei che si facea corona
reflettendo da sà li etterni rai.
Da quella regÃon che piË sË tona
occhio mortale alcun tanto non dista, qualunque in mare piË giË sÃabbandona,
quanto là da Beatrice la mia vista;
ma nulla mi facea, chà s¸a effige non discendÃa a me per mezzo mista.
´O donna in cui la mia speranza vige, e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige,
di tante cose quantà ià ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute.
Tu mÃhai di servo tratto a libertate per tutte quelle vie, per tuttà i modi
che di cià fare avei la potestate.
La tua magnificenza in me custodi,
sà che lÃanima mia, che fattà hai sana, piacente a te dal corpo si disnodiª.
Cosà orai; e quella, sà lontana
come parea, sorrise e riguardommi;
poi si tornà a lÃetterna fontana.
E Ãl santo sene: ´Accià che tu assommi perfettamenteª, disse, ´il tuo cammino, a che priego e amor santo mandommi,
vola con li occhi per questo giardino; chà veder lui tÃacconcerâ¡ lo sguardo piË al montar per lo raggio divino.
E la regina del cielo, ondà Ão ardo tutto dÃamor, ne farâ¡ ogne grazia,
perà chÃià sono il suo fedel Bernardoª.
Qual à colui che forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
che per lÃantica fame non sen sazia,
ma dice nel pensier, fin che si mostra: ëSegnor mio IesË Cristo, Dio verace,
or fu sà fatta la sembianza vostra?Ã;
tal era io mirando la vivace
caritâ¡ di colui che Ãn questo mondo, contemplando, gustà di quella pace.
´Figliuol di grazia, questà esser giocondoª, comincià elli, ´non ti sar⡠noto,
tenendo li occhi pur qua giË al fondo;
ma guarda i cerchi infino al piË remoto, tanto che veggi seder la regina
cui questo regno à suddito e devotoª.
Io levai li occhi; e come da mattina
la parte orÃental de lÃorizzonte
soverchia quella dove Ãl sol declina,
cosÃ, quasi di valle andando a monte con li occhi, vidi parte ne lo stremo
vincer di lume tutta lÃaltra fronte.
E come quivi ove sÃaspetta il temo
che mal guidà Fetonte, piË sÃinfiamma, e quinci e quindi il lume si fa scemo,
cosà quella pacifica oriafiamma
nel mezzo sÃavvivava, e dÃogne parte per igual modo allentava la fiamma;
e a quel mezzo, con le penne sparte,
vidà io piË di mille angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e dÃarte.
Vidi a lor giochi quivi e a lor canti ridere una bellezza, che letizia
era ne li occhi a tutti li altri santi;
e sÃio avessi in dir tanta divizia
quanta ad imaginar, non ardirei
lo minimo tentar di sua delizia.
Bernardo, come vide li occhi miei
nel caldo suo caler fissi e attenti, li suoi con tanto affetto volse a lei,
che à miei di rimirar fà piË ardenti.
Paradiso â Canto XXXII
Affetto al suo piacer, quel contemplante libero officio di dottore assunse,
e comincià queste parole sante:
´La piaga che Maria richiuse e unse, quella chÃà tanto bella daà suoi piedi à colei che lÃaperse e che la punse.
Ne lÃordine che fanno i terzi sedi,
siede Rachel di sotto da costei
con BÃatrice, sà come tu vedi.
Sarra e Rebecca, IudÃt e colei
che fu bisava al cantor che per doglia del fallo disse ëMiserere meiÃ,
puoi tu veder cosà di soglia in soglia giË digradar, comà io chÃa proprio nome vo per la rosa giË di foglia in foglia.
E dal settimo grado in giË, sà come infino ad esso, succedono Ebree,
dirimendo del fior tutte le chiome;
perchÃ, secondo lo sguardo che fÃe
la fede in Cristo, queste sono il muro a che si parton le sacre scalee.
Da questa parte onde Ãl fiore à maturo di tutte le sue foglie, sono assisi
quei che credettero in Cristo venturo;
da lÃaltra parte onde sono intercisi di vÃti i semicirculi, si stanno
quei chÃa Cristo venuto ebber li visi.
E come quinci il glorÃoso scanno
de la donna del cielo e li altri scanni di sotto lui cotanta cerna fanno,
cosà di contra quel del gran Giovanni, che sempre santo Ãl diserto e Ãl martiro sofferse, e poi lÃinferno da due anni;
e sotto lui cosà cerner sortiro
Francesco, Benedetto e Augustino
e altri fin qua giË di giro in giro.
Or mira lÃalto proveder divino:
chà lÃuno e lÃaltro aspetto de la fede igualmente empierâ¡ questo giardino.
E sappi che dal grado in giË che fiede a mezzo il tratto le due discrezioni,
per nullo proprio merito si siede,
ma per lÃaltrui, con certe condizioni: chà tutti questi son spiriti ascolti
prima chÃavesser vere elezÃoni.
Ben te ne puoi accorger per li volti
e anche per le voci p¸erili,
se tu li guardi bene e se li ascolti.
Or dubbi tu e dubitando sili;
ma io discioglierà Ãl forte legame in che ti stringon li pensier sottili.
Dentro a lÃampiezza di questo reame
cas¸al punto non puote aver sito,
se non come tristizia o sete o fame:
chà per etterna legge à stabilito
quantunque vedi, sà che giustamente ci si risponde da lÃanello al dito;
e perà questa festinata gente
a vera vita non à sine causa
intra sà qui piË e meno eccellente.
Lo rege per cui questo regno pausa
in tanto amore e in tanto diletto,
che nulla volontâ¡ Ã di piË ausa,
le menti tutte nel suo lieto aspetto
creando, a suo piacer di grazia dota diversamente; e qui basti lÃeffetto.
E cià espresso e chiaro vi si nota
ne la Scrittura santa in quei gemelli che ne la madre ebber lÃira commota.
PerÃ, secondo il color dÃi capelli, di cotal grazia lÃaltissimo lume
degnamente convien che sÃincappelli.
Dunque, sanza mercà di lor costume,
locati son per gradi differenti,
sol differendo nel primiero acume.
Bastavasi neà secoli recenti
con lÃinnocenza, per aver salute,
solamente la fede dÃi parenti;
poi che le prime etadi fuor compiute, convenne ai maschi a lÃinnocenti penne
per circuncidere acquistar virtute;
ma poi che Ãl tempo de la grazia venne, sanza battesmo perfetto di Cristo
tale innocenza lâ¡ giË si ritenne.
Riguarda omai ne la faccia che a Cristo piË si somiglia, chà la sua chiarezza
sola ti puà disporre a veder Cristoª.
Io vidi sopra lei tanta allegrezza
piover, portata ne le menti sante
create a trasvolar per quella altezza,
che quantunque io avea visto davante, di tanta ammirazion non mi sospese,
nà mi mostrà di Dio tanto sembiante;
e quello amor che primo là discese,
cantando ëAve, Maria, gratÃa plenaÃ, dinanzi a lei le sue ali distese.
Rispuose a la divina cantilena
da tutte parti la beata corte,
sà chÃogne vista sen fà piË serena.
´O santo padre, che per me comporte
lÃesser qua giË, lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per etterna sorte,
qual à quellà angel che con tanto gioco guarda ne li occhi la nostra regina,
innamorato sà che par di foco?ª.
Cosà ricorsi ancora a la dottrina
di colui chÃabbelliva di Maria,
come del sole stella mattutina.
Ed elli a me: ´Baldezza e leggiadria quantà esser puote in angelo e in alma, tutta à in lui; e sà volem che sia,
perchà elli à quelli che portà la palma giuso a Maria, quando Ãl Figliuol di Dio carcar si volse de la nostra salma.
Ma vieni omai con li occhi sà comà io andrà parlando, e nota i gran patrici
di questo imperio giustissimo e pio.
Quei due che seggon lâ¡ sË piË felici per esser propinquissimi ad Agusta,
son dÃesta rosa quasi due radici:
colui che da sinistra le sÃaggiusta
à il padre per lo cui ardito gusto lÃumana specie tanto amaro gusta;
dal destro vedi quel padre vetusto
di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi raccomandà di questo fior venusto.
E quei che vide tutti i tempi gravi,
pria che morisse, de la bella sposa che sÃacquistà con la lancia e coi clavi,
siede lunghà esso, e lungo lÃaltro posa quel duca sotto cui visse di manna
la gente ingrata, mobile e retrosa.
Di contrà a Pietro vedi sedere Anna, tanto contenta di mirar sua figlia,
che non move occhio per cantare osanna;
e contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna
quando chinavi, a rovinar, le ciglia.
Ma perchà Ãl tempo fugge che tÃassonna, qui farem punto, come buon sartore
che comà elli ha del panno fa la gonna;
e drizzeremo li occhi al primo amore, sà che, guardando verso lui, penÃtri
quantà à possibil per lo suo fulgore.
Veramente, ne forse tu tÃarretri
movendo lÃali tue, credendo oltrarti, orando grazia conven che sÃimpetri
grazia da quella che puote aiutarti;
e tu mi seguirai con lÃaffezione,
sà che dal dicer mio lo cor non partiª.
E comincià questa santa orazione:
Paradiso â Canto XXXIII
´Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta piË che creatura,
termine fisso dÃetterno consiglio,
tu seà colei che lÃumana natura
nobilitasti sÃ, che Ãl suo fattore non disdegnà di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese lÃamore,
per lo cui caldo ne lÃetterna pace cosà à germinato questo fiore.
Qui seà a noi meridÃana face
di caritate, e giuso, intra à mortali, seà di speranza fontana vivace.
Donna, seà tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disÃanza vuol volar sanzà ali.
La tua benignitâ¡ non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fÃate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te sÃaduna
quantunque in creatura à di bontate.
Or questi, che da lÃinfima lacuna
de lÃuniverso infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,
supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi
piË alto verso lÃultima salute.
E io, che mai per mio veder non arsi
piË chÃià fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
perchà tu ogne nube li disleghi
di sua mortalitâ¡ coà prieghi tuoi, sà che Ãl sommo piacer li si dispieghi.
Ancor ti priego, regina, che puoi
cià che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!ª.
Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne lÃorator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati;
indi a lÃetterno lume sÃaddrizzaro, nel qual non si dee creder che sÃinvii
per creatura lÃocchio tanto chiaro.
E io chÃal fine di tuttà i disii
appropinquava, sà comà io dovea,
lÃardor del desiderio in me finii.
Bernardo mÃaccennava, e sorridea,
perchà io guardassi suso; ma io era gi⡠per me stesso tal qual ei volea:
chà la mia vista, venendo sincera,
e piË e piË intrava per lo raggio de lÃalta luce che da sà à vera.
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che Ãl parlar mostra, chÃa tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio.
Qual à col¸i che sognando vede,
che dopo Ãl sogno la passione impressa rimane, e lÃaltro a la mente non riede,
cotal son io, chà quasi tutta cessa
mia visÃone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.
Cosà la neve al sol si disigilla;
cosà al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.
O somma luce che tanto ti levi
daà concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi,
e fa la lingua mia tanto possente,
chÃuna favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente;
chÃ, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi,
piË si conceperâ¡ di tua vittoria.
Io credo, per lÃacume chÃio soffersi del vivo raggio, chÃià sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi.
Eà mi ricorda chÃio fui piË ardito per questo a sostener, tanto chÃià giunsi lÃaspetto mio col valore infinito.
Oh abbondante grazia ondà io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!
Nel suo profondo vidi che sÃinterna, legato con amore in un volume,
cià che per lÃuniverso si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo che cià chÃià dico à un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo chÃià vidi, perchà piË di largo, dicendo questo, mi sento chÃià godo.
Un punto solo mÃÃ maggior letargo
che venticinque secoli a la Ãmpresa che fà Nettuno ammirar lÃombra dÃArgo.
Cosà la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa.
A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto à impossibil che mai si consenta;
perà che Ãl ben, chÃà del volere obietto, tutto sÃaccoglie in lei, e fuor di quella à defettivo cià chÃà là perfetto.
Omai sarâ¡ piË corta mia favella,
pur a quel chÃio ricordo, che dÃun fante che bagni ancor la lingua a la mammella.
Non perchà piË chÃun semplice sembiante fosse nel vivo lume chÃio mirava,
che tal à sempre qual sÃera davante;
ma per la vista che sÃavvalorava
in me guardando, una sola parvenza, mutandomà io, a me si travagliava.
Ne la profonda e chiara sussistenza
de lÃalto lume parvermi tre giri
di tre colori e dÃuna contenenza;
e lÃun da lÃaltro come iri da iri
parea reflesso, e Ãl terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri.
Oh quanto à corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel chÃià vidi, à tanto, che non basta a dicer ëpocoÃ.
O luce etterna che sola in te sidi,
sola tÃintendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi!
Quella circulazion che sà concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,
dentro da sÃ, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige:
per che Ãl mio viso in lei tutto era messo.
Qual à Ãl geomÃtra che tutto sÃaffige per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ondà elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
lÃimago al cerchio e come vi sÃindova;
ma non eran da cià le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A lÃalta fantasia qui mancà possa;
ma giâ¡ volgeva il mio disio e Ãl velle, sà come rota chÃigualmente à mossa,
lÃamor che move il sole e lÃaltre stelle.
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
TAVOLA DEI CARATTERI SPECIALI
TABLE OF SPECIAL CHARACTERS
â¡ = a grave
à = e grave
à = i grave
à = o grave
Ë = u grave
à = e acute
à = o acute
â° = a uml
à = e uml
à = i uml
Ë = o uml
¸ = u uml
» = E grave
à = E uml
Å = I uml
´ = left angle quotation mark
ª = right angle quotation mark
ì = left double quotation mark
î = right double quotation mark
ë = left single quotation mark
à = right single quotation mark
ó = em dash
â = middot
. . . = ellipsis