dovea poi trarre te nel suo disio?
Ben ti dovevi, per lo primo strale
de le cose fallaci, levar suso
di retro a me che non era piË tale.
Non ti dovea gravar le penne in giuso, ad aspettar piË colpo, o pargoletta
o altra novit⡠con sà breve uso.
Novo augelletto due o tre aspetta;
ma dinanzi da li occhi dÃi pennuti rete si spiega indarno o si saettaª.
Quali fanciulli, vergognando, muti
con li occhi a terra stannosi, ascoltando e sà riconoscendo e ripentuti,
tal mi stavà io; ed ella disse: ´Quando per udir seà dolente, alza la barba,
e prenderai piË doglia riguardandoª.
Con men di resistenza si dibarba
robusto cerro, o vero al nostral vento o vero a quel de la terra di Iarba,
chÃio non levai al suo comando il mento; e quando per la barba il viso chiese,
ben conobbi il velen de lÃargomento.
E come la mia faccia si distese,
posarsi quelle prime creature
da loro aspersÃon lÃocchio comprese;
e le mie luci, ancor poco sicure,
vider Beatrice volta in su la fiera chÃÃ sola una persona in due nature.
Sotto Ãl suo velo e oltre la rivera
vincer pariemi piË sà stessa antica, vincer che lÃaltre qui, quandà ella cÃera.
Di penter sà mi punse ivi lÃortica, che di tutte altre cose qual mi torse
piË nel suo amor, piË mi si fà nemica.
Tanta riconoscenza il cor mi morse,
chÃio caddi vinto; e quale allora femmi, salsi colei che la cagion mi porse.
Poi, quando il cor virtË di fuor rendemmi, la donna chÃio avea trovata sola
sopra me vidi, e dicea: ´Tiemmi, tiemmi!ª.
Tratto mÃavea nel fiume infin la gola, e tirandosi me dietro sen giva
sovresso lÃacqua lieve come scola.
Quando fui presso a la beata riva,
ëAsperges meà sà dolcemente udissi, che nol so rimembrar, non chÃio lo scriva.
La bella donna ne le braccia aprissi; abbracciommi la testa e mi sommerse
ove convenne chÃio lÃacqua inghiottissi.
Indi mi tolse, e bagnato mÃofferse
dentro a la danza de le quattro belle; e ciascuna del braccio mi coperse.
´Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle; pria che Beatrice discendesse al mondo,
fummo ordinate a lei per sue ancelle.
Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo lume chÃÃ dentro aguzzeranno i tuoi
le tre di lâ¡, che miran piË profondoª.
Cosà cantando cominciaro; e poi
al petto del grifon seco menarmi,
ove Beatrice stava volta a noi.
Disser: ´Fa che le viste non risparmi; posto tÃavem dinanzi a li smeraldi
ondà Amor gi⡠ti trasse le sue armiª.
Mille disiri piË che fiamma caldi
strinsermi li occhi a li occhi rilucenti, che pur sopra Ãl grifone stavan saldi.
Come in lo specchio il sol, non altrimenti la doppia fiera dentro vi raggiava,
or con altri, or con altri reggimenti.
Pensa, lettor, sÃio mi maravigliava, quando vedea la cosa in sà star queta,
e ne lÃidolo suo si trasmutava.
Mentre che piena di stupore e lieta
lÃanima mia gustava di quel cibo
che, saziando di sÃ, di sà asseta,
sà dimostrando di piË alto tribo
ne li atti, lÃaltre tre si fero avanti, danzando al loro angelico caribo.
´Volgi, Beatrice, volgi li occhi santiª, era la sua canzone, ´al tuo fedele
che, per vederti, ha mossi passi tanti!
Per grazia fa noi grazia che disvele
a lui la bocca tua, sà che discerna la seconda bellezza che tu celeª.
O isplendor di viva luce etterna,
chi palido si fece sotto lÃombra
sà di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
che non paresse aver la mente ingombra, tentando a render te qual tu paresti
lâ¡ dove armonizzando il ciel tÃadombra,
quando ne lÃaere aperto ti solvesti?
Purgatorio â Canto XXXII
Tantà eran li occhi miei fissi e attenti a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi mÃeran tutti spenti.
Ed essi quinci e quindi avien parete
di non calerócosà lo santo riso
a sà traÃli con lÃantica rete!ó;
quando per forza mi fu vÃlto il viso verà la sinistra mia da quelle dee,
perchà io udià da loro un ´Troppo fiso!ª;
e la disposizion chÃa veder Ãe
ne li occhi pur testà dal sol percossi, sanza la vista alquanto esser mi fÃe.
Ma poi chÃal poco il viso riformossi (e dico ëal pocoà per rispetto al molto sensibile onde a forza mi rimossi),
vidi Ãn sul braccio destro esser rivolto lo glorÃoso essercito, e tornarsi
col sole e con le sette fiamme al volto.
Come sotto li scudi per salvarsi
volgesi schiera, e sà gira col segno, prima che possa tutta in sà mutarsi;
quella milizia del celeste regno
che procedeva, tutta trapassonne
pria che piegasse il carro il primo legno.
Indi a le rote si tornar le donne,
e Ãl grifon mosse il benedetto carco sÃ, che perà nulla penna crollonne.
La bella donna che mi trasse al varco e Stazio e io seguitavam la rota
che fà lÃorbita sua con minore arco.
SÃ passeggiando lÃalta selva vÃta, colpa di quella chÃal serpente crese,
temprava i passi unÃangelica nota.
Forse in tre voli tanto spazio prese
disfrenata saetta, quanto eramo
rimossi, quando BÃatrice scese.
Io sentià mormorare a tutti ´Adamoª; poi cerchiaro una pianta dispogliata
di foglie e dÃaltra fronda in ciascun ramo.
La coma sua, che tanto si dilata
piË quanto piË Ã sË, fora da lÃIndi neà boschi lor per altezza ammirata.
´Beato seÃ, grifon, che non discindi col becco dÃesto legno dolce al gusto,
poscia che mal si torce il ventre quindiª.
Cosà dintorno a lÃalbero robusto
gridaron li altri; e lÃanimal binato: ´Sà si conserva il seme dÃogne giustoª.
E vÃlto al temo chÃelli avea tirato, trasselo al pià de la vedova frasca,
e quel di lei a lei lascià legato.
Come le nostre piante, quando casca
giË la gran luce mischiata con quella che raggia dietro a la celeste lasca,
turgide fansi, e poi si rinovella
di suo color ciascuna, pria che Ãl sole giunga li suoi corsier sotto altra stella;
men che di rose e piË che di vÃole
colore aprendo, sÃinnovà la pianta, che prima avea le ramora sà sole.
Io non lo Ãntesi, nà qui non si canta lÃinno che quella gente allor cantaro,
nà la nota soffersi tutta quanta.
SÃio potessi ritrar come assonnaro
li occhi spietati udendo di Siringa, li occhi a cui pur vegghiar costà sà caro;
come pintor che con essempro pinga,
disegnerei comà io mÃaddormentai; ma qual vuol sia che lÃassonnar ben finga.
Perà trascorro a quando mi svegliai, e dico chÃun splendor mi squarcià Ãl velo del sonno, e un chiamar: ´Surgi: che fai?ª.
Quali a veder deà fioretti del melo
che del suo pome li angeli fa ghiotti e perpet¸e nozze fa nel cielo,
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
e vinti, ritornaro a la parola
da la qual furon maggior sonni rotti,
e videro scemata loro scuola
cosà di MoÃsà come dÃElia,
e al maestro suo cangiata stola;
tal tornaà io, e vidi quella pia
sovra me starsi che conducitrice
fu deà miei passi lungo Ãl fiume pria.
E tutto in dubbio dissi: ´Ovà à Beatrice?ª. Ondà ella: ´Vedi lei sotto la fronda
nova sedere in su la sua radice.
Vedi la compagnia che la circonda:
li altri dopo Ãl grifon sen vanno suso con piË dolce canzone e piË profondaª.
E se piË fu lo suo parlar diffuso,
non so, perà che giâ¡ ne li occhi mÃera quella chÃad altro intender mÃavea chiuso.
Sola sedeasi in su la terra vera,
come guardia lasciata là del plaustro che legar vidi a la biforme fera.
In cerchio le facevan di sà claustro le sette ninfe, con quei lumi in mano
che son sicuri dÃAquilone e dÃAustro.
´Qui sarai tu poco tempo silvano;
e sarai meco sanza fine cive
di quella Roma onde Cristo à romano.
PerÃ, in pro del mondo che mal vive, al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, ritornato di lâ¡, fa che tu scriveª.
Cosà Beatrice; e io, che tutto ai piedi dÃi suoi comandamenti era divoto,
la mente e li occhi ovà ella volle diedi.
Non scese mai con sà veloce moto
foco di spessa nube, quando piove
da quel confine che piË va remoto,
comà io vidi calar lÃuccel di Giove per lÃalber giË, rompendo de la scorza, non che dÃi fiori e de le foglie nove;
e ferà Ãl carro di tutta sua forza; ondà el piegà come nave in fortuna,
vinta da lÃonda, or da poggia, or da orza.
Poscia vidi avventarsi ne la cuna
del trÃunfal veiculo una volpe
che dÃogne pasto buon parea digiuna;
ma, riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa quanto sofferser lÃossa sanza polpe.
Poscia per indi ondà era pria venuta, lÃaguglia vidi scender giË ne lÃarca
del carro e lasciar lei di sà pennuta;
e qual esce di cuor che si rammarca,
tal voce uscà del cielo e cotal disse: ´O navicella mia, comà mal seà carca!ª.
Poi parve a me che la terra sÃaprisse trÃambo le ruote, e vidi uscirne un drago che per lo carro sË la coda fisse;
e come vespa che ritragge lÃago,
a sà traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago.
Quel che rimase, come da gramigna
vivace terra, da la piuma, offerta
forse con intenzion sana e benigna,
si ricoperse, e funne ricoperta
e lÃuna e lÃaltra rota e Ãl temo, in tanto che piË tiene un sospir la bocca aperta.
Trasformato cosà Ãl dificio santo
mise fuor teste per le parti sue,
tre sovra Ãl temo e una in ciascun canto.
Le prime eran cornute come bue,
ma le quattro un sol corno avean per fronte: simile mostro visto ancor non fue.
Sicura, quasi rocca in alto monte,
seder sovresso una puttana sciolta
mÃapparve con le ciglia intorno pronte;
e come perchà non li fosse tolta,
vidi di costa a lei dritto un gigante; e basciavansi insieme alcuna volta.
Ma perchà lÃocchio cupido e vagante a me rivolse, quel feroce drudo
la flagellà dal capo infin le piante;
poi, di sospetto pieno e dÃira crudo, disciolse il mostro, e trassel per la selva, tanto che sol di lei mi fece scudo
a la puttana e a la nova belva.
Purgatorio â Canto XXXIII
ëDeus, venerunt gentesÃ, alternando or tre or quattro dolce salmodia,
le donne incominciaro, e lagrimando;
e BÃatrice, sospirosa e pia,
quelle ascoltava sà fatta, che poco piË a la croce si cambià Maria.
Ma poi che lÃaltre vergini dier loco a lei di dir, levata dritta in pÃ,
rispuose, colorata come foco:
ëModicum, et non videbitis me;
et iterum, sorelle mie dilette,
modicum, et vos videbitis meÃ.
Poi le si mise innanzi tutte e sette, e dopo sÃ, solo accennando, mosse
me e la donna e Ãl savio che ristette.
Cosà sen giva; e non credo che fosse lo decimo suo passo in terra posto,
quando con li occhi li occhi mi percosse;
e con tranquillo aspetto ´Vien piË tostoª, mi disse, ´tanto che, sÃio parlo teco, ad ascoltarmi tu sie ben dispostoª.
Sà comà io fui, comà io dovÃa, seco, dissemi: ´Frate, perchà non tÃattenti a domandarmi omai venendo meco?ª.
Come a color che troppo reverenti
dinanzi a suo maggior parlando sono, che non traggon la voce viva ai denti,
avvenne a me, che sanza intero suono
incominciai: ´Madonna, mia bisogna voi conoscete, e cià chÃad essa à buonoª.
Ed ella a me: ´Da tema e da vergogna voglio che tu omai ti disviluppe,
sà che non parli piË comà om che sogna.
Sappi che Ãl vaso che Ãl serpente ruppe, fu e non Ã; ma chi nÃha colpa, creda
che vendetta di Dio non teme suppe.
Non sarâ¡ tutto tempo sanza reda
lÃaguglia che lascià le penne al carro, per che divenne mostro e poscia preda;
chÃio veggio certamente, e perà il narro, a darne tempo giâ¡ stelle propinque,
secure dÃognà intoppo e dÃogne sbarro,
nel quale un cinquecento diece e cinque, messo di Dio, anciderâ¡ la fuia
con quel gigante che con lei delinque.
E forse che la mia narrazion buia,
qual Temi e Sfinge, men ti persuade, perchà a lor modo lo Ãntelletto attuia;
ma tosto fier li fatti le Naiade,
che solveranno questo enigma forte
sanza danno di pecore o di biade.
Tu nota; e sà come da me son porte,
cosà queste parole segna aà vivi
del viver chÃÃ un correre a la morte.
E aggi a mente, quando tu le scrivi,
di non celar qual hai vista la pianta chÃÃ or due volte dirubata quivi.
Qualunque ruba quella o quella schianta, con bestemmia di fatto offende a Dio,
che solo a lÃuso suo la creà santa.
Per morder quella, in pena e in disio cinquemilia anni e piË lÃanima prima
bramà colui che Ãl morso in sà punio.
Dorme lo Ãngegno tuo, se non estima
per singular cagione esser eccelsa
lei tanto e sà travolta ne la cima.
E se stati non fossero acqua dÃElsa
li pensier vani intorno a la tua mente, e Ãl piacer loro un Piramo a la gelsa,
per tante circostanze solamente
la giustizia di Dio, ne lÃinterdetto, conosceresti a lÃarbor moralmente.
Ma perchà io veggio te ne lo Ãntelletto fatto di pietra e, impetrato, tinto,
sà che tÃabbaglia il lume del mio detto,
voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, che Ãl te ne porti dentro a te per quello che si reca il bordon di palma cintoª.
E io: ´Sà come cera da suggello,
che la figura impressa non trasmuta, segnato à or da voi lo mio cervello.
Ma perchà tanto sovra mia veduta
vostra parola disÃata vola,
che piË la perde quanto piË sÃaiuta?ª.
´Perchà conoschiª, disse, ´quella scuola cÃhai seguitata, e veggi sua dottrina
come puà seguitar la mia parola;
e veggi vostra via da la divina
distar cotanto, quanto si discorda
da terra il ciel che piË alto festinaª.
Ondà io rispuosi lei: ´Non mi ricorda chÃià stranÃasse me giâ¡ mai da voi, nà honne coscÃenza che rimordaª.
´E se tu ricordar non te ne puoiª,
sorridendo rispuose, ´or ti rammenta come bevesti di Letà ancoi;
e se dal fummo foco sÃargomenta,
cotesta oblivÃon chiaro conchiude
colpa ne la tua voglia altrove attenta.
Veramente oramai saranno nude
le mie parole, quanto converrassi
quelle scovrire a la tua vista rudeª.
E piË corusco e con piË lenti passi teneva il sole il cerchio di merigge,
che qua e lâ¡, come li aspetti, fassi,
quando sÃaffisser, sà come sÃaffigge chi va dinanzi a gente per iscorta
se trova novitate o sue vestigge,
le sette donne al fin dÃunÃombra smorta, qual sotto foglie verdi e rami nigri
sovra suoi freddi rivi lÃalpe porta.
Dinanzi ad esse ÃufratÃs e Tigri
veder mi parve uscir dÃuna fontana, e, quasi amici, dipartirsi pigri.
´O luce, o gloria de la gente umana, che acqua à questa che qui si dispiega
da un principio e sà da sà lontana?ª.
Per cotal priego detto mi fu: ´Priega Matelda che Ãl ti dicaª. E qui rispuose, come fa chi da colpa si dislega,
la bella donna: ´Questo e altre cose dette li son per me; e son sicura
che lÃacqua di Letà non gliel nascoseª.
E BÃatrice: ´Forse maggior cura,
che spesse volte la memoria priva,
fattà ha la mente sua ne li occhi oscura.
Ma vedi E¸noà che l⡠diriva:
menalo ad esso, e come tu seà usa, la tramortita sua virtË ravvivaª.
Come anima gentil, che non fa scusa,
ma fa sua voglia de la voglia altrui tosto che à per segno fuor dischiusa;
cosÃ, poi che da essa preso fui,
la bella donna mossesi, e a Stazio
donnescamente disse: ´Vien con luiª.
SÃio avessi, lettor, piË lungo spazio da scrivere, ià pur cantereà in parte
lo dolce ber che mai non mÃavria sazio;
ma perchà piene son tutte le carte
ordite a questa cantica seconda,
non mi lascia piË ir lo fren de lÃarte.
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sà come piante novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire a le stelle.
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TAVOLA DEI CARATTERI SPECIALI
TABLE OF SPECIAL CHARACTERS
â¡ = a grave
à = e grave
à = i grave
à = o grave
Ë = u grave
à = e acute
à = o acute
â° = a uml
à = e uml
à = i uml
Ë = o uml
¸ = u uml
» = E grave
à = E uml
Å = I uml
´ = left angle quotation mark
ª = right angle quotation mark
ì = left double quotation mark
î = right double quotation mark
ë = left single quotation mark
à = right single quotation mark
ó = em dash
â = middot
. . . = ellipsis